REATI TRIBUTARI – ACCISE, ASSOCIAZIONE DELINQUERE REATI TRANSNAZIONALI AVVOCATO PENALE BOLOGNA MILANO TORINO UDINE

REATI TRIBUTARI-ACCISE, ASSOCIAZIONE DELINQUERE REATI TRANSNAZIONALI AVVOCATO PENALE BOLOGNA MILANO TORINO UDINE

Reati tributari – Evasione – Prodotti energetici soggetti ad accise ed IVA – Associazione a delinquere – PENALISTA BOLOGNA MILANO

TORINO UDINE

REATO TRANSNAZIONALE

La quinta sezione penale con la sentenza in epigrafe chiarisce che in tema di transnazionalità, l’art. 3 L. 146/2006 postula il coinvolgimento nel reato transnazionale di un gruppo organizzato, non già necessariamente l’appartenenza a detto gruppo dell’autore del reato. È quindi sufficiente che al reato abbiano contribuito uno – o più – adepti del gruppo criminale organizzato in adempimento del programma criminale del sodalizio, perché il predicato della transnazionalità si estenda ai correi non aderenti al sodalizio. Tale interpretazione collide con la tesi avanzata dal ricorrente -intesa a contestare la transnazionalità del reato- e che da un lato opera una certa confusione tra il predicato della transnazionalità (art. 3 Convenzione di Palermo) e l’aggravante della transnazionalità (art. 4 stessa convenzione), dall’altro erroneamente afferma che a tale aggravante sarebbe collegato il sequestro per equivalente ex art. 11 della convenzione, che invece si applica ai reati di cui all’art. 3. In conclusione, la tesi prospettata, e cioè l’asserita mancanza del coinvolgimento nel reato di un gruppo criminale organizzato, è priva di fondamento. Il ricorrente sembra infatti esigere che tale coinvolgimento implichi necessariamente la diretta partecipazione all’associazione del beneficiario/concorrente nel reato fine, partecipazione nella specie insussistente in quanto S. non è indagato per il reato associativo. Presupposto, questo, non conforme all’interpretazione dell’art. 3.

 

 

AFFERMA LA CORTE 

Sul punto, scrutinando una questione analoga, la Corte ha già affermato che il delitto di associazione per delinquere (configurato, per altro, anche con riferimento alla presente regiudicanda cautelare) è idoneo a realizzare profitti illeciti sequestrabili – ai fini della successiva confisca per equivalente nei casi espressamente previsti dalla legge (nella specie L. 16 marzo 2006, n. 146, ex art. 11) – in via del tutto autonoma rispetto a quelli conseguiti attraverso i reatifine perpetrati in esecuzione del programma di delinquenza e la cui esecuzione è agevolata dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto criminale, con la precisazione che la determinazione del profitto confiscabile corrisponde alla sommatoria dei profitti conseguiti dall’associazione nel suo complesso per effetto della consumazione dei singoli reati – fine, che vanno pertanto accertati e attribuiti, sia pure nelle forme provvisorie tipiche della fase cautelare, ad uno o più associati (anche, se del caso, ignoti) e di tale profitto, in uno ai coimputati, ogni associato è chiamato a rispondere dal momento in cui ha aderito alla societas sceleris, senza che ciò possa comportare una duplicazione, anche parziale, del profitto confiscabile. A questo proposito è stato anche precisato che – qualora si ricorra, per la determinazione del profitto confiscabile, a calcolare le imposte evase in via presuntiva o indiziaria – è necessario che il G. cautelare dia espressamente conto dei criteri utilizzati per il relativo calcolo, che devono pertanto essere oggetto di specifica indicazione (Sez. 3, n. 26721 del 04/03/2015, Montella, Rv. 263945 e in motiv.).

 

 

OSSERVA LA CORTE

Quanto al terzo motivo di impugnazione che attinge la sola posizione di E. B., va ricordato che l’art. 11 della legge 16 marzo 2006, n. 146, rubricato «ipotesi speciali di confisca obbligatoria e confisca per equivalente», prevede che, «per i reati di cui all’art. 3 della presente legge, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il G. ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo».

L’ art. 3, lettera d), richiamato dal suddetto art. 11, nel definire, poi, la nozione di reato transnazionale, considera tale il «reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni», in cui «sia coinvolto un gruppo criminale organizzato», quando, tra l’altro, «sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato». Infine, il successivo art. 4, comma 1, prevede che «per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato la pena è aumentata da un terzo alla metà».

Nell’interpretare il complesso di tali disposizioni, la Corte, nella sua più autorevole composizione, ha chiarito che «la transnazionalità non è un elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto, a condizione che sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il reato sia commesso in più di uno Stato; b) il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo criminalè organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato» (Sez. U., n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255038), precisando che il riconoscimento del carattere transnazionale non comporta alcun aggravamento di pena, ma produce gli effetti sostanziali e processuali previsti dalla legge n. 146 del 2006 agli articoli 10, 11, 12 e 13.

Ne consegue che, per l’adozione della misura cautelare del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dall’art. 11 della legge n. 146 del 2006, è sufficiente che sia contestata e configurabile la condizione di transnazionalità del delitto per cui si procede – come definita dall’art. 3 della medesima legge – proprio perché la transnazionalità non rappresenta un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto che abbia i requisiti indicati dalla precedente disposizione normativa, sicché non è necessario che sia contestata e ricorra la speciale aggravante della transnazionalità, di cui all’art. 4, comma primo, della predetta Legge n. 146, costituendo tale circostanza soltanto uno degli eventuali sintomi del carattere transnazionale del delitto (Sez. 3, n. 25821 del 04/02/2016, Rombi, Rv. 267010; Sez. 5, n. 31687 del 31/10/2014, Magnoni, Rv. 264981), per la cui configurabilità occorre che la commissione del reato sia stata determinata o anche solo agevolata, in tutto o in parte, dall’apporto di un gruppo criminale organizzato, distinto da quello cui è riferibile il reato, impegnato in attività illecite in più di uno Stato (cfr. Sez. U., n. 18374 del 31/01/2013, Adami, cit.).

Per tale ragione, l’insussistenza dell’aggravante ad effetto speciale, di cui all’art. 4, comma primo, della Legge n. 146 del 2006, non impedisce l’adozione del vincolo reale ove il delitto per cui si procede sia comunque caratterizzato dalla condizione di transnazionalità, come definita alla luce del precedente art. 3.

In tale quadro, il Tribunale ha correttamente affermato che la presenza del gruppo criminale organizzato è indispensabile per la configurazione dell’aggravante ma è anche presupposto dell’attributo della transnazionalità, aggiungendo, in conformità a quanto ritenuto dal Gip e in aderenza all’insegnamento della Corte (Sez. 3, n. 23896 del 19/04/2016, Gonzales, Rv. 267440) che «di gruppo (‘criminale, n.d.r.) si può parlare solo quando si sia in presenza di “una organizzazione, seppur minimale” non occasionale né estemporanea caratterizzata da una certa “stabilità dei rapporti tra gli adepti”, finalizzata “alla realizzazione anche di un solo reato” (e qui sta il distinguo col reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen.) “e al conseguimento di un vantaggio finanziario comunque materiale”» ed altresì ritenendo che «tali caratteristiche evidentemente non si rinvengono nelle ipotesi contestate ai capi 4 e 5, atteso che ivi si delinea un quadro di collaborazione tra soggetti posti in conflitto di interessi (alienanti, acquirenti e intermediari che favorivano l’incontro) che si compongono in ambito contrattuale e che, di conseguenza, pur qualche volta con l’obiettivo comune di lucrare indebitamente vantaggi patrimoniali consistenti nella elusione o evasione fiscale, sono destinati ad incontrarsi finché ciascuno di essi non individui interlocutori commerciali più affidabili e convenienti. Più che di stabile collaborazione, dunque, si configura un pactum sceleris (anche se con effetti reiterati) che, giuridicamente parlando, si qualifica in termini di mero concorso ai sensi dell’art. 110 cod. pen.».

 

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 14044 depositata il 27 marzo 2018

Reati tributari – Evasione – Prodotti energetici soggetti ad accise ed IVA – Associazione a delinquere – Flusso continuo di illegali importazioni carburanti da autotrazione – Sequestro preventivo per equivalente

Ritenuto in fatto

  1. Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario di Udine ricorre per cassazione impugnando le ordinanze n. 65 del 2016, n. 3 del 2017 e n. 5 del 2017 emesse dal tribunale di Udine in funzione di Giudice del riesame con le quali il predetto Tribunale, accogliendo le istanze di riesame, annullava i capi del provvedimento impugnato relativi a R. G., S. S., E. B., F. A. e L. Z. in ordine al decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso in relazione ai reati di associazione per delinquere (articolo 416, commi 1 e 2, del codice penale) per aver promosso, costituito ed organizzato una associazione a delinquere con ramificazioni in Italia e precisamente in Calabria (capo A: per S., B., e Z.), in Sicilia (capo B: per G. ed A.), in Campania (capo C: per S. e Z.), in Svizzera, Belgio, Austria, Germania, Polonia, Lituania e Lettonia, Bulgaria, Bosnia, Cipro e Malta, per tutti gli indagati, finalizzata a realizzare un flusso continuo di illegali importazioni sul territorio nazionale di prodotti energetici sottoposti ad accisa – in particolare gasolio per autotrazione e/o combustione e/o miscelazioni di tagli di idrocarburi – in evasione all’accisa e all’IVA, organizzando l’acquisto delle materie presso fornitori di diversi Paesi, la loro miscelazione e stoccaggio in Bosnia, Polonia, Belgio, Germania e Austria, il trasporto mediante ditte italiane e estere con i seguenti ruoli quanto alle rispettive associazioni criminali di appartenenza:

1) Z. L.: amministratore di fatto delle società di diritto cipriota Kayla Ltd L. e Rinaz Ltd di cui era direttore, nonché amministratore di fatto della svizzera LZ SWISS AG; svolgendo il ruolo di procacciatore e fornitore del prodotto petrolifero alle società svizzere BPS CHEMICAL e SGC SWISS AC; adoperandosi alla ricerca di contatti per l’acquisto delle materie prime da utilizzare per ottenere le illecite miscele di carburante; occupandosi della materiale realizzazione della miscela utilizzando depositi petroliferi dislocati in diversi paesi europei (Belgio, Germania, Bulgaria, Polonia, Austria e Germania); occupandosi infine della rivendita all’ingrosso del prodotto così ottenuto;

2) B. E.: rappresentante legale (dal 26/8/2014) dell’omonima ditta individuale e della ANABOS CONSULTING S.n.c., collaboratore dei C., occupandosi del lato amministrativo del traffico illecito, in particolare della ricezione e coordinamento degli ordinativi e distribuzione del prodotto;

3) S. S.: legale rappresentante della S.C.R. Trasporti S.r.l., vettore tra i più fidati di C., effettuando i trasporti dalle raffinerie del Nord Europa alla clientela del Sud Italia (eseguendo spesso il trasporto del prodotto in fusti o bulks);

4) G. R.: amministratore della G. Industry Transports & Buildings S.r.l. (fino al 20.03.2014), nonché amministratore di fatto delle società GREEN SYSTEM S.r.l. e Tutto Trasporti S.r.l. (con sede in Vittoria -RG-, contrada Serra Rovetto S.S. 115 km 3,0 s.n.c.) entrambe acquirenti del prodotto petrolifero, inoltre gestore di fatto della società maltese DYNAMIC LOGISTIC SOLUTIONS Ltd (legale rappresentante Giuseppe MELILLI); trattando gli acquisti di prodotto petrolifero con Flavio C. e Monika OBERKALMSTEINER (ma anche con altri fornitori stranieri);

5) A. Febronia: rappresentante legale della TUTTO TRASPORTI S.r.l. (fino al 31.07.2013) e della PASSION TRANSPORT S.r.l. (con sede in Vittoria – RG-, via Circonvallazione n. 131) (fino al 15.05.2014), moglie di R. G. e sua complice nell’approvvigionamento di prodotto illecito; gestendo, unitamente al marito, la società maltese DYNAMIC LOGISTIC SOLUTIONS Ltd.

Ai predetti (capo Al: per S., B., e Z.), (capo Bl: per G. ed A.) è stato poi attribuito il reato di cui agli articoli 81 cpv., 110 e 112, comma 1 n. 1) del codice penale, 40, commi 1, lettere b), d) e g), e 4 nonché articolo 49, comma 1 D.Lgs. 504 del 1995 perché, agendo in concorso tra loro nelle qualità e con i compiti indicati nei capi (A e B) delle rispettive provvisorie imputazioni, utilizzando varie ditte di logistica e trasporto, organizzavano plurimi trasporti da Paesi esteri (Belgio, Austria, Germania, Polonia, Lettonia, Bulgaria, Bosnia) di prodotti energetici sottoposti ad accisa, in particolare miscele non autorizzate di oli pesanti, gasolio per autotrazione e oli vegetali vari, documentalmente indicati come “olio lubrificante” e fiscalmente classificabili come tali, predisponendo o facendo approntare a corredo dei trasporti documentazione inappropriata o comunque fuorviante, al fine di mascherare sia la reale identità del prodotto scortato, rivelatosi carburante destinato a persone fisiche e giuridiche ubicate in Italia in assenza di documentazione fiscale idonea (documento E-AD), sia il reale destinatario, schermato da aziende di comodo (nazionali ed estere) figuranti cartolarmente come destinatari; il flusso di tale carburante – miscelato senza alcuna autorizzazione di cui all’articolo 21, comma 12, D.Lgs. 504 del 1995, ai sensi del comma 4 stesso articolo assimilabile al gasolio per autotrazione – è risultato documentalmente corrispondere, per il sodalizio delinquenziale calabrese e siciliano ai quantitativi indicati nei rispettivi capi della provvisoria imputazione con la ulteriore indicazione dell’ammontare delle imposte evase pari a Euro 2.259.459,93 (per l’accisa) e euro 1.302.574,43 (per l’iva) per l’associazione criminale calabrese e pari a Euro 1.456.587,78 (per l’accisa) e euro 806.764,52 (per l’iva) per l’associazione criminale siciliana.

Al solo B. è poi attribuito anche il reato di cui agli articoli 81 cpv., 110 e del codice penale, 40, commi 1, lettere b), d) e g), e 4, e 49, comma 1, D.Lgs. 504 del 1995 in concorso con F. C. e con J. B. per imposte evase pari a Euro 521.559,04 (per l’accisa) e euro 281.809,81 (per l’iva).

  1. Per l’annullamento delle impugnate ordinanze il pubblico ministero ricorrente articola quattro motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo, dopo aver ampiamente riportato i risultati dell’attività investigativa, il ricorrente deduce la violazione della legge penale in relazione agli articoli 321 e 192, comma 2, cod. proc. pen. e 11 L.146 del 2006 (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale), sul rilievo che il Tribunale, nel ritenere che sarebbero stati provati soltanto sei episodi di traffico illecito di gasolio nei quali si sarebbe obiettivamente materializzata la divergenza tra realtà fattuale e realtà dichiarata, avrebbe addossato agli inquirenti un onus probandi eccessivo e sproporzionato per la fase cautelare, pervenendo alla conclusione di ritenere che nulla fosse emerso in ordine ad un ricorso sistematico e senza eccezioni al meccanismo fiscale fraudolento, nonostante avesse considerato che dai dati provenienti dalle intercettazioni telefoniche, dalle sommarie informazioni e dalla documentazione rinvenuta e sequestrata sarebbe senz’altro emerso un profilo indiziario in ordine alla sussistenza dell’illecito, tale da comportare sicuramente la configurazione di seri indizi di reato, affermando tuttavia che, siccome la ricostruzione del quantum oggetto della frode all’accisa sarebbe frutto di una ricostruzione presuntiva, non sarebbero emersi elementi tali da evidenziare la presenza del reato contestato in ogni singola operazione documentata in fattura od oggetto di comunicazioni telefoniche o dialoghi telefonici. Secondo il Tribunale il fatto che si parli di gasolio non sarebbe di per sé prova che tutte le operazioni ad esso relative fossero illecite, essendo indispensabile avere la prova che, in relazione a tutte quelle operazioni, i documenti di trasporto e le fatture avessero indicato un altro prodotto sottratto agli oneri fiscali previsti per il gasolio o avessero simulato una destinazione estera per opporre agli ipotetici controllori che si trattava di mero transito non sottoposto ad alcun onere.

Obietta il ricorrente che, in tal modo, il Collegio cautelare avrebbe adottato una regola di giudizio non consona alla fase cautelare, essendo in detta fase sufficiente la sola integrazione del fumus criminis, con la conseguenza che, per disporre la misura cautelare, non sarebbe necessario il rigoroso accertamento dei profitti conseguiti con l’attività criminosa perché, anche in ordine al quantum, sarebbe possibile un giudizio di approssimazione, in cui far convergere la valenza di tutti gli elementi indiziari gravi, precisi e concordanti raccolti nel corso delle indagini.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale) in relazione agli articoli 5, 6, 8 e 9 D.Lgs.504 del 1995.

Osserva che il Tribunale – laddove ha ritenuto, nonostante le numerosissime telefonate intercettate nelle quali gli interlocutori dialogano di gasolio o nafta, che, in esse, si parli di gasolio non sarebbe di per sé prova che tutte le operazioni ad esso relative fossero illecite, anche perché sarebbe difficile che società esistenti, operative e che corrispondono le imposte fossero dedite al 100% ad attività illegale – non ha considerato che, se così fosse, gli interlocutori avrebbero dovuto riferirsi ad operazioni commerciali del tutto lecite e, quindi, ad operazioni che, accompagnate dalla documentazione e dalle autorizzazioni richieste dalla normativa di settore, avrebbero dovuto comprovare, almeno in astratto, la regolarità delle operazioni di cui vi sarebbe traccia nelle acquisizioni investigative, come richiesto dalla normativa che il pubblico ministero ricorrente sommariamente delinea nel motivo di ricorso.

Tuttavia nessuno degli interlocutori delle telefonate in cui si parla di gasolio/nafta, ma in generale nessuno dei soggetti economici emersi dal contesto investigativo sarebbe soggetto fiscalmente conosciuto né tantomeno autorizzato (perché privo dei requisiti, delle qualifiche, della licenza fiscale) dalle Amministrazioni fiscali nazionali ad immettere in consumo il prodotto idrocarburico.

Perciò, laddove essi parlano di gasolio sarebbe giocoforza ritenere che il prodotto dovesse essere illegalmente introdotto sul territorio nazionale “cartolarmente vestito” come olio (scortabile con semplice CMR ed assoggettato a disciplina di controllo meno stringente).

Inoltre nessun documento attestante importazioni di gasolio sarebbe stato mai trovato (né poteva essere trovato) nel corso delle perquisizioni effettuate nel settembre 2014 presso i domicili e le sedi delle aziende facenti capo agli indagati.

Rileva, a tal proposito, il ricorrente che, nel caso ipotetico in cui avessero commercializzato gasolio, avrebbero quantomeno dovuto conservare la “stampa” dell’E-AD, documento che mai è stato rinvenuto dalla Guardia di Finanza.

Da ciò la conseguenza che, laddove il Tribunale del riesame afferma che “ci sono fatture, comunicazioni telematiche ed intercettazioni in cui si parla di commercio di gasolio, ma non ci sono elementi che consentano di dire che ognuna di queste singole operazioni sia stata riportata in maniera impropria sui documenti di trasporto”, incorre in una violazione di legge per disapplicazione delle disposizioni di cui agli articoli 5, 6, 8 e 9 D.Lgs.504 del 1995.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 3 L.146 del 2006 con particolare riferimento all’ordinanza pronunciata sul riesame di E. B..

Sostiene il ricorrente che il Tribunale del riesame, nel prendere in esame i capi di imputazione D) ed E), avrebbe interpretato l’art.3 L.146 del 2006 per giungere ad escluderne l’applicabilità nel caso concreto atteso che, tra gli indagati, si configura un mero pactum sceleris che consentirebbe di qualificare i fatti in termini di mero concorso ai sensi dell’art.110 del codice penale e non come partecipazione ad una associazione per delinquere che richiederebbe una stabile organizzazione, requisito, quest’ultimo, che, secondo il ricorrente, sarebbe escluso dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale sarebbe sufficiente, ai fini dell’applicazione dell’articolo 3 L. 146 del 2006, un’organizzazione anche minimale finalizzata anche alla commissione di un solo reato, che il G.I.P. aveva individuato nelle società e depositi esteri che avevano operato in collaborazione con gli indagati e con altri soggetti economici, italiani ed esteri.

Aggiunge il ricorrente che, per provare il carattere transnazionale del reato, sarebbe arduo pretendere – sia nella fase cautelare che in quella processuale – la dimostrazione dell’esistenza di un “gruppo criminale organizzato” con tutte le caratteristiche dell’associazione a delinquere di cui all’art.416 del codice penale, sicché dovrebbe ritenersi sufficiente – a maggior ragione in fase cautelare – la dimostrazione dell’esistenza di un sodalizio criminale, ancorché operante all’estero e costituito da individui non ben identificati implicato nell’attività delinquenziale realizzata sul territorio nazionale.

Non sarebbe invece richiesto che di tale gruppo facciano parte anche le persone nei cui confronti si svolgono le indagini.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione degli articolo 324, comma 7, e 309, comma 9, del codice di procedura penale nonché dell’articolo 111, comma 6, Cost. con riferimento all’ordinanza pronunciata sul riesame di L. Z..

Argomenta in proposito che il Tribunale del Riesame non avrebbe rispettato l’obbligo di motivare e decidere “anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza”, avendo omesso di prendere in considerazione alcuni elementi di prova addotti dal pubblico ministero all’udienza sul riesame proposto da L. Z. (di cui al verbale udienza del 02.02.2017).

Ed invero, sul conto della KAYLA Ltd ed a proposito del ruolo ricoperto dallo Z. in seno alla società cipriota ed al complesso sistema di frode alle accise, era stata portata all’attenzione del Collegio cautelare l’esito di una rogatoria indirizzata dal pubblico ministero alla Procura di Amburgo. Nella nota in data 14.10.2016, la Procura tedesca comunicava l’esistenza di un procedimento a carico, tra gli altri, di L. Z. per lo stesso genere di frode al regime delle accise (per circa 16 milioni di euro), il ruolo di Z. come socio fondatore della APL ENERGY GmbH (responsabile degli acquisti di carburante, amministrata da FLECKE Cari Cristian, detenuto in custodia cautelare) e in altre società come la RINAZ Ltd e la KAYLA Ltd, dolendosi pertanto che tali circostanze, decisive per la compiuta definizione del quadro cautelare, siano state del tutto pretermesse dal Tribunale del riesame che sarebbe pertanto incorso nel vizio di violazione dei legge denunciato.

  1. E. B., S. S. e L. Z. hanno presentato memorie con le quali deducono l’inammissibilità del ricorso presentato dal pubblico ministero sul presupposto che l’impugnazione svolge censure di merito nei confronti della motivazione, censure non consentite nel giudizio di legittimità in ordine alle impugnazioni cautelari reali, posto che non si denuncia, con il gravame, l’assenza o l’apparenza della motivazione bensì esclusivamente la sua pretesa contraddittorietà ed illogicità.

Sostengono che giustamente il Tribunale del riesame ha rilevato l’impossibilità di provvedere al sequestro preventivo per equivalente, dato che non era possibile separare le operazioni illecite da quelle lecite compiute dai vari indagati e, quindi, conseguentemente determinare l’entità del profitto percepito, la cui entità sarebbe stata calcolata presuntivamente senza alcun riscontro obiettivo ovvero indiziario inidoneo a sorreggere la determinazione del profitto stesso.

Z., in particolare, deduce come non vi fosse alcun atto di indagine che accertasse la sua responsabilità, essendogli state sequestrate somme:

(1) senza che vi fossero certi riscontri probatori,

(2) senza che vi fosse la prova circa la sussistenza del vincolo associativo, posto che il ricorrente non conosceva la maggior parte degli indagati,

(3) senza che vi fossero idonei accertamenti circa la qualità degli oli trasportati, né i presupposti per l’applicabilità dell’aggravante di cui all’articolo 4 della legge 146 del 2006, il tutto oltre all’incompetenza del tribunale di Udine per le ipotesi delittuose configurate a suo carico.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso del pubblico ministero è fondato nei limiti di cui alle considerazioni che seguono.
  2. I primi due motivi, essendo tra loro strettamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati.

2.1. Il Collegio cautelare ha premesso come il nucleo comune a tutte le contestazioni riguardasse l’evasione delle accise su prodotti energetici e, in particolare, sul gasolio da autotrazione. Anche i reati associativi contestati ai capi A), B) e C) erano stati, infatti, configurati come finalizzati alla realizzazione di un flusso continuo illegale di prodotti energetici sottoposti ad accisa caratterizzato dall’indicazione, sui documenti di trasporto, di una sostanza diversa del prodotto di fatto trasportato (olio lubrificante invece di gasolio da autotrazione) oppure dall’indicazione di un destinatario diverso da quello reale, indicandosi mero olio lubrificante (non sottoposto ad alcun onere fiscale), che in realtà era gasolio o comunque sostanza idonea alla autotrazione (sottoposta invece all’accisa), oppure facendosi cartolarmente risultare la destinazione all’estero per la quale, in territorio italiano (territorio di mero transito), non era dovuta alcuna accisa.

Il tribunale del riesame ha precisato come le indagini si fossero sviluppate a seguito di alcuni interventi su strada che avevano portato ad un fermo amministrativo ed a cinque sequestri del veicolo trasportatore e del liquido trasportato.

In siffatti contesti, era emerso che il prodotto trasportato consisteva in miscele non autorizzate di gasolio, oli basici ed oli vegetali, che venivano composte in diverse aree di deposito site in diversi Paesi dell’Unione Europea e che venivano indicate sui documenti di trasporto come oli lubrificanti o protettivi.

2.2. Tanto premesso, il tribunale cautelare fonda il proprio convincimento partendo dal presupposto che, ai fini dell’integrazione del fumus criminis, necessiti la prova che tutte le operazioni relative all’importazione dei prodotti energetici fossero illecite.

Peraltro, dal testo dei provvedimenti impugnati, emerge come il Tribunale avesse richiesto, affinché fosse comprovata la illiceità delle operazioni, che, in relazione ad ognuna di esse, i documenti di trasporto e le fatture avessero “indicato un altro prodotto sottratto agli oneri fiscali previsti per il gasolio” o avessero “simulato una destinazione estera per opporre agli ipotetici controllori che si trattava di mero transito non sottoposto ad alcun onere”.

Tuttavia, il Tribunale – sebbene avesse, contraddittoriamente alle premesse, affermato che ci fosse “la prova dell’an ma non quella del quantum” – ha, dunque, adottato, come il ricorrente fondatamente lamenta, una regola di giudizio non consona alla fase cautelare perché, richiedendo la prova (evidentemente anche al fine di calcolare l’imposta evasa rispetto alla quale commisurare il profitto del reato) che tutte le operazioni relative all’importazione dei prodotti energetici fossero illecite, non ha tenuto conto che, ai fini dell’emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato, non occorre un compendio indiziario che si configuri come grave ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., ma è soltanto necessario che il G. valuti la sussistenza del “fumus delieti” in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, in quanto la “serietà degli indizi” costituisce presupposto per l’applicazione delle misure cautelari reali (per tutte, Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945).

Se poi l’annullamento della misura cautelare reale fosse stata giustificata in considerazione dell’assenza di prova in ordine al quantum del profitto conseguito attraverso la costituzione del sodalizio criminoso e tramite il trasporto illecito dei prodotti energetici sottoposti ad accisa, la regola di giudizio, in fase cautelare, non muta, nel senso che, per l’applicazione della cautela, non è richiesto che il profitto del reato sia precisamente determinato ma è sufficiente che, sulla base di criteri oggettivi e concreti tenuto conto di tutte le evidenze disponibili, sia quantomeno determinabile, anche facendo uso della prova indiziaria e fermo restando che sul G. incombe, anche nel corso del procedimento cautelare, un rigoroso onere di motivazione in proposito.

Sul punto, scrutinando una questione analoga, la Corte ha già affermato che il delitto di associazione per delinquere (configurato, per altro, anche con riferimento alla presente regiudicanda cautelare) è idoneo a realizzare profitti illeciti sequestrabili – ai fini della successiva confisca per equivalente nei casi espressamente previsti dalla legge (nella specie L. 16 marzo 2006, n. 146, ex art. 11) – in via del tutto autonoma rispetto a quelli conseguiti attraverso i reatifine perpetrati in esecuzione del programma di delinquenza e la cui esecuzione è agevolata dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto criminale, con la precisazione che la determinazione del profitto confiscabile corrisponde alla sommatoria dei profitti conseguiti dall’associazione nel suo complesso per effetto della consumazione dei singoli reati – fine, che vanno pertanto accertati e attribuiti, sia pure nelle forme provvisorie tipiche della fase cautelare, ad uno o più associati (anche, se del caso, ignoti) e di tale profitto, in uno ai coimputati, ogni associato è chiamato a rispondere dal momento in cui ha aderito alla societas sceleris, senza che ciò possa comportare una duplicazione, anche parziale, del profitto confiscabile. A questo proposito è stato anche precisato che – qualora si ricorra, per la determinazione del profitto confiscabile, a calcolare le imposte evase in via presuntiva o indiziaria – è necessario che il G. cautelare dia espressamente conto dei criteri utilizzati per il relativo calcolo, che devono pertanto essere oggetto di specifica indicazione (Sez. 3, n. 26721 del 04/03/2015, Montella, Rv. 263945 e in motiv.).

Sotto tale aspetto, le ordinanze impugnate risultano viziate per violazione di legge, laddove erroneamente applicano alla regiudicanda cautelare regole di giudizio estranee alla fase incidentale di riferimento e laddove, limitandosi ad affermare la mancanza di prova circa il quantum, difettano in maniera assoluta di motivazione sull’eventuale sindacato circa i criteri di calcolo utilizzati per la determinazione del profitto confiscabile, perché delle due l’una: o il G. cautelare, pur in mancanza di sequestri del prodotto illecitamente commerciato, ha proceduto a determinare, in maniera logica ed adeguata, il profitto confiscabile (sulla base, ad esempio, della concludenza delle conversazioni intercettate, della verifica del trasporto effettuato, del mezzo utilizzato, della quantità di prodotto accertata sulla base di viaggi diversi ma conclusi con il sequestro del prodotto stesso) e, allora, la giustificazione della cautela deve ritenersi immune da qualsiasi rilievo ai fini cautelari oppure ha determinato il profitto confiscabile in maniera illogica e senza tenere conto di tutte le evidenze disponibili e, allora, la misura cautelare non può ritenersi legittimante emanata.

Essendo pertanto fondati, nei termini in precedenza precisati, i primi due motivi di gravame, le ordinanze impugnate devono essere annullate affinché il G. di rinvio, tenuto conto che il profitto confiscabile può essere tanto determinato quanto determinabile, proceda alle necessarie verifiche le quali, richiedendo accertamenti di merito, sono precluse nel giudizio di legittimità.

  1. Quanto al terzo motivo di impugnazione che attinge la sola posizione di E. B., va ricordato che l’art. 11 della legge 16 marzo 2006, n. 146, rubricato «ipotesi speciali di confisca obbligatoria e confisca per equivalente», prevede che, «per i reati di cui all’art. 3 della presente legge, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il G. ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo».
Reati tributari – Evasione – Prodotti energetici soggetti ad accise ed IVA – Associazione a delinquere – PENALISTA BOLOGNA MELANO TORINO UDINE REATO TRANSNAZIONALE

L’ art. 3, lettera d), richiamato dal suddetto art. 11, nel definire, poi, la nozione di reato transnazionale, considera tale il «reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni», in cui «sia coinvolto un gruppo criminale organizzato», quando, tra l’altro, «sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato». Infine, il successivo art. 4, comma 1, prevede che «per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato la pena è aumentata da un terzo alla metà».

Nell’interpretare il complesso di tali disposizioni, la Corte, nella sua più autorevole composizione, ha chiarito che «la transnazionalità non è un elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto, a condizione che sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il reato sia commesso in più di uno Stato; b) il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo criminalè organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato» (Sez. U., n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255038), precisando che il riconoscimento del carattere transnazionale non comporta alcun aggravamento di pena, ma produce gli effetti sostanziali e processuali previsti dalla legge n. 146 del 2006 agli articoli 10, 11, 12 e 13.

Ne consegue che, per l’adozione della misura cautelare del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dall’art. 11 della legge n. 146 del 2006, è sufficiente che sia contestata e configurabile la condizione di transnazionalità del delitto per cui si procede – come definita dall’art. 3 della medesima legge – proprio perché la transnazionalità non rappresenta un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto che abbia i requisiti indicati dalla precedente disposizione normativa, sicché non è necessario che sia contestata e ricorra la speciale aggravante della transnazionalità, di cui all’art. 4, comma primo, della predetta Legge n. 146, costituendo tale circostanza soltanto uno degli eventuali sintomi del carattere transnazionale del delitto (Sez. 3, n. 25821 del 04/02/2016, Rombi, Rv. 267010; Sez. 5, n. 31687 del 31/10/2014, Magnoni, Rv. 264981), per la cui configurabilità occorre che la commissione del reato sia stata determinata o anche solo agevolata, in tutto o in parte, dall’apporto di un gruppo criminale organizzato, distinto da quello cui è riferibile il reato, impegnato in attività illecite in più di uno Stato (cfr. Sez. U., n. 18374 del 31/01/2013, Adami, cit.).

Per tale ragione, l’insussistenza dell’aggravante ad effetto speciale, di cui all’art. 4, comma primo, della Legge n. 146 del 2006, non impedisce l’adozione del vincolo reale ove il delitto per cui si procede sia comunque caratterizzato dalla condizione di transnazionalità, come definita alla luce del precedente art. 3.

In tale quadro, il Tribunale ha correttamente affermato che la presenza del gruppo criminale organizzato è indispensabile per la configurazione dell’aggravante ma è anche presupposto dell’attributo della transnazionalità, aggiungendo, in conformità a quanto ritenuto dal Gip e in aderenza all’insegnamento della Corte (Sez. 3, n. 23896 del 19/04/2016, Gonzales, Rv. 267440) che «di gruppo (‘criminale, n.d.r.) si può parlare solo quando si sia in presenza di “una organizzazione, seppur minimale” non occasionale né estemporanea caratterizzata da una certa “stabilità dei rapporti tra gli adepti”, finalizzata “alla realizzazione anche di un solo reato” (e qui sta il distinguo col reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen.) “e al conseguimento di un vantaggio finanziario comunque materiale”» ed altresì ritenendo che «tali caratteristiche evidentemente non si rinvengono nelle ipotesi contestate ai capi 4 e 5, atteso che ivi si delinea un quadro di collaborazione tra soggetti posti in conflitto di interessi (alienanti, acquirenti e intermediari che favorivano l’incontro) che si compongono in ambito contrattuale e che, di conseguenza, pur qualche volta con l’obiettivo comune di lucrare indebitamente vantaggi patrimoniali consistenti nella elusione o evasione fiscale, sono destinati ad incontrarsi finché ciascuno di essi non individui interlocutori commerciali più affidabili e convenienti. Più che di stabile collaborazione, dunque, si configura un pactum sceleris (anche se con effetti reiterati) che, giuridicamente parlando, si qualifica in termini di mero concorso ai sensi dell’art. 110 cod. pen.».

Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale cautelare ha tuttavia ancorato, come fondatamente lamenta l’Ufficio ricorrente, l’elemento costituito dall’esistenza di un “gruppo criminale organizzato” alla presenza di una stabile organizzazione che invece non è richiesta per l’integrazione della fattispecie declinata dall’art. 3 della legge n. 146 del 2006 e che costituisce indice diverso (ed ulteriore) rispetto alla stabilità dei rapporti fra gli adepti (dovendo i concorrenti nel reato essere partecipi non di un’associazione per delinquere – che una stabile organizzazione, sia pure tendenziale, richiede – ma di un gruppo criminale che, invece, può prescindere da una stabile organizzazione esigendo soltanto una stabilità di rapporti tra i compartecipi), tacendo del tutto in ordine all’esistenza e alla consistenza di un tale requisito (se cioè vi fosse o meno una stabilità di rapporti fra gli adepti, come pure lo stesso Tribunale si era fatto carico di precisare) ed incorrendo pertanto nel vizio di violazione di legge denunciato per omessa motivazione su un punto decisivo del tema cautelare, vizio che pure deve essere rimosso dal G. del rinvio sulla base del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte secondo il quale il gruppo criminale organizzato, cui fanno riferimento gli artt. 3 e 4 della I. n. 146 del 2006, è configurabile, secondo le indicazioni contenute nell’art. 2, punti a) e c) della Convenzione delle Nazioni unite contro il crimine organizzato del 15 novembre 2000 (cosiddetta convenzione di Palermo), in presenza dei seguenti elementi: a) stabilità di rapporti fra gli adepti; b) minimo di organizzazione senza formale definizione di ruoli; c) non occasionalità o estemporaneità della stessa; d) costituzione in vista anche di un solo reato e per il conseguimento di un vantaggio finanziario o di altro vantaggio materiale, avuto riguardo al fatto che il gruppo criminale organizzato è certamente un “quid pluris” rispetto al mero concorso di persone, ma si diversifica anche dall’associazione a delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. che richiede un’articolata organizzazione strutturale, seppure in forma minima od elementare, tendenzialmente stabile e permanente, una precisa ripartizione di ruoli e la pianificazione di una serie indeterminata di reati (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, cit., Rv. 255034).

  1. Né sono fondate le eccezioni mosse dagli indagati dirette a denunciare l’inammissibilità dei ricorsi del pubblico ministero per avere il ricorrente lamentato vizi della motivazione, sollevando censure precluse nel giudizio di legittimità in relazione alle impugnazioni cautelari reali.

Sulla questione sollevata, va ricordato che, in tema di impugnazione di misure cautelari reali, l’omesso esame di punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali fonda la conferma, la riforma o l’annullamento del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325, comma primo cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 264011).

  1. Il quarto motivo deve ritenersi assorbito.

P.Q.M.

Annulla le ordinanze impugnate e rinvia al Tribunale di Udine.

Originally posted 2019-05-26 18:38:51.