BANCAROTTA PER DISTRAZIONE COME DIFENDERSI? AVVOCATO PENALISTA ESPERTO BOLOGNA MILANO VICENZA RAVENNA FORLI

BANCAROTTA PER DISTRAZIONE COME DIFENDERSI? AVVOCATO PENALISTA ESPERTO BOLOGNA MILANO VICENZA RAVENNA FORLI

BANCAROTTA PER DISTRAZIONE
BANCAROTTA PER DISTRAZIONE

BANCAROTTA PER DISTRAZIONE COME DIFENDERSI? AVVOCATO PENALISTA ESPERTO BOLOGNA MILANO VICENZA RAVENNA FORLI

integra la condotta distrattiva di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 1 la vendita di un bene della societa’, in una situazione di grave crisi finanziaria della stessa, con modalita’ tali da comportare un ingiustificato vantaggio economico, anche indiretto, al patrimonio del soggetto del reato proprio o di terzi che egli ha voluto favorire, con corrispondente sbilanciamento a carico del patrimonio della societa’ in crisi: in tal caso infatti si realizza appieno la offesa al bene giuridico del reato in discussione, che e’ modulata dalla giurisprudenza e dalla piu’ recente dottrina che qui si condivide, attorno all’idea centrale che si tratta di un bene giuridico di tipo patrimoniale.

Reati fallimentari – Bancarotta fraudolenta – Circostanze del reato – Distrazione – Diversa ed ingiusta destinazione volontariamente data al patrimonio rispetto ai fini aziendali – Elemento soggettivo del reato – Dolo generico – Accertamento

Cassazione penale sez. V, 08/10/2020, n.33114

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma 1, lett. b), l. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi. (Nella specie, la Corte ha ritenuto corretta l’individuazione della prova del dolo specifico sufficiente ad integrare la condotta di occultamento nell’approvazione, da parte del liquidatore della società, di due bilanci successivi senza avere la disponibilità delle scritture contabili).

Cassazione penale sez. V, 05/03/2019, n.26379

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma 1, n. 2), l. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che, a fronte della contestazione di un’ipotesi di sottrazione o distruzione della contabilità, aveva affermato la responsabilità dell’imputato per la diversa ipotesi di concorso nell’omessa regolare tenuta delle scritture contabili, dando peraltro atto nella motivazione dell’assenza della prova di una «sia pur parziale tenuta delle scritture contabili») .

Cassazione penale sez. V, 01/02/2017, n.18634

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), l. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi. (Nella specie, la Corte ha censurato la sentenza impugnata che, a fronte di una contestazione di occultamento “ovvero” di irregolare tenuta delle scritture contabili, pur ritenendo consumato il primo, ne aveva motivato la sussistenza attraverso una “fusione” con la seconda, trasformandola in evento della condotta di occultamento e sostituendo il dolo generico sufficiente ad integrare la stessa a quello specifico necessario per l’occultamento).

 

Reati fallimentari – Bancarotta fraudolenta – Bancarotta riparata – Elemento materiale del reato – Reintegrazione del patrimonio dell’impresa antecedente la dichiarazione di fallimento. Reati fallimentari – Bancarotta fraudolenta – In genere – Bancarotta per distrazione – Conferimento di beni in un gruppo europeo di interesse economico – Mancata iscrizione del gruppo a norma del regolamento cee n. 25/7/2137 del 1985 – Rilevanza – Esclusione – Ragioni.

BANCAROTTA PER DISTRAZIONE
BANCAROTTA PER DISTRAZIONE

Configurazione  reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione 

Quando?

 il conferimento, da parte dell’amministratore, di beni della società fallita in un Gruppo Europeo di Interesse Economico (GEIE) – a prescindere dall’avvenuta iscrizione di quest’ultimo ai sensi del Regolamento CEE n. 25/7/2137 del 1985 e dal conseguente acquisto della capacità giuridica da parte dell’ente – in quanto il vincolo impresso ai beni mediante il contratto di costituzione del GEIE comporta il sorgere di un’obbligazione a carico del patrimonio della fallita nei confronti degli altri soci fondatori, in grado di determinare un pericolo per gli interessi dei creditori preesistenti.

La bancarotta riparata si configura

 determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, non rilevando, invece, il momento di manifestazione del dissesto come limite di efficacia della restituzione. Tuttavia, perché gli effetti del depauperamento del patrimonio vengano meno, occorre una immediata correlazione della condotta riparatoria a quella distrattiva, con l’intento dell’imprenditore di porvi specificamente rimedio, perché, in caso contrario, si dovrebbe ritenere che qualunque attività di finanziamento posta in essere da un socio-amministratore, a prescindere dall’epoca dell’apporto di liquidità, elida ipso facto la rilevanza penale di una sottrazione di risorse di pari od inferiore importo.

avvocato penalista bologna
avvocato penalista bologna

In tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all’offesa tipica e alla sfera di volizione dell’agente, costituisce una condizione obiettiva di punibilità, che circoscrive l’area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali, alle condotte del debitore, di per sè offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento. (In motivazione, la Corte ha richiamato la sentenza n. 1085 del 1988 Corte cost. quanto al sottrarsi delle condizioni obiettive di punibilità alla regola della rimproverabilità ex art. 27, comma primo, Cost.).

REATI FALLIMENTARI
REATI FALLIMENTARI

Incorre nell’imputazione per il reato di bancarotta fraudolenta, p. e p. dagli artt. 216 e 223 L.F.,

il prevenuto che nella sua qualità di amministratore di fatto della s.r.l., dichiarata fallita, operando sui conti correnti on line della predetta società ed utilizzando la carta di credito aziendale in suo possesso, distraeva a proprio profitto un’ingente somma di denaro a proprio profitto, mediante bonifici, prelievi dai conti correnti aziendali sui quali aveva il potere di firma e mediante l’utilizzazione della carta di credito aziendale. Si rileva al riguardo che integra distrazione ogni forma di diversa e ingiusta destinazione volontariamente data al patrimonio rispetto ai fini che questo deve avere nell’impresa, quale elemento necessario per la sua funzionalità e quale garanzia dei creditori.

Spesso vengono qualificati come distrattivi fatti che più correttamente sarebbero riconducibili nell’alveo della distruzione o della dissipazione, senza che ciò produca comunque alcuna conseguenza pratica, attesa l’equivalenza delle condotte incriminate dall’art. 216, comma 1 n. I L.F. In particolare si ritiene che integri dissipazione la cosciente e volontaria dispersione patrimoniale mediante il gioco, trattandosi di sperpero o dilapidazione dei beni a scopi voluttuari, totalmente estranei all’impresa. In merito alla fattispecie ascritta sussiste altresì l’elemento soggettivo del reato, rappresentato dal dolo generico consistente nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa compiendo atti che possano cagionare danno ai creditori.

Come riaffermato anche dalle Sezioni unite nella sentenza n. 24468 del 2009, ric. Rizzoli,

la bancarotta tutela l’integrita’ del patrimonio nella sua peculiare funzione di garanzia dei creditori, ovvero, secondo la similare prospettiva di Sez. 5, n. 32031 del 2014, Dacco’, l’offensivita’ del reato e’ contraddistinta dal pericolo che, ove per qualsiasi ragione si dia luogo ad una procedura concorsuale, l’esito della stessa venga condizionato da atti distrattivi che abbiano comunque ridotto il patrimonio disponibile. Analogamente la Corte costituzionale, nella ordinanza n. 268 del 1989, aveva osservato che anche l’estensione – disposta dall’articolo 236, comma 2…. “e’ preordinata alla conservazione dell’integrita’ del patrimonio dell’impresa costituente la garanzia per i creditori della medesima, in vista della mera eventualita’ del loro non pieno soddisfacimento”.

Ne consegue che la fattispecie particolare della configurabilita’ (salve eventuali emergenze probatorie diverse e ulteriori) di uno stretto rapporto cronologico tra l’atto dispositivo che diminuisce la garanzia dei creditori della futura procedura concorsuale e gli evidenti segnali o indicatori dei presupposti storici di questa (nella forma della crisi di impresa, o in quella della insolvenza o peggio ancora del dissesto) rende particolarmente agevole la ricostruzione della fattispecie normativa con riferimento al caso concreto, poiche’ e’ del tutto evidente la natura non solo “pericolosa” ma anche concretamente depauperativa della azione e la rimproverabilita’ soggettiva del suo autore che, della determinazione del pericolo, non puo’ protestare una imputazione a titolo di responsabilita’ oggettiva.

Il problema ermeneutico puo’ nascere, piuttosto, quando quel rapporto cronologico non vi sia (oppure, come nella specie, quando sia affermato in evidente contraddittorieta’ rispetto ad altre argomentazioni valorizzate in sentenza per giungere alla assoluzione rispetto ad altri comportamenti di natura e tipologia analoghe) e l’atto di cui si assume la natura conforme alla tipologia descritta dalla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 1 non possa correlarsi oggettivamente e soggettivamente in modo intuitivo ed evidente alla fase di crisi o insolvenza della impresa.

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Sono note le innumerevoli e poliformi – spesso collidenti fra loro – critiche levatesi nella dottrina (a parte delle quali il ricorrente sostanzialmente si rifa’) per la mancata individuazione, da parte della giurisprudenza, nel silenzio della legge, di criteri certi e idonei a soddisfare il principio di determinatezza della fattispecie ed a garantire la esclusione di addebiti di responsabilita’ di tipo oggettivo, in contrasto col principio della responsabilita’ personale di cui all’articolo 27 Cost.

Non e’ altrettanto immobile la posizione della giurisprudenza al riguardo, pur non potendosi negare scelte ermeneutiche meramente ripetitive sulle categorie generali del reato in esame che possono aver dato una percezione di talune inadeguatezze: e cio’, in particolar modo dopo la pubblicazione della nota sentenza n. 1085 del 1988 della Corte Costituzionale che viene regolarmente evocata nel punto di specifica analisi del parametro costituzionale di cui all’articolo 27 Cost., comma 1, laddove ribadisce che quest’ultimo richiede “quale essenziale requisito subiettivo d’imputazione, oltre alla coscienza e volonta’ dell’azione od omissione, almeno la colpa quale collegamento subiettivo tra l’autore del fatto ed il dato significativo (sia esso evento oppur no) addebitato…” e ” risulta altresi’ necessaria la rimproverabilita’ dello stesso soggettivo collegamento…”.

Se e’ vero, infatti, che dal precetto penale l’imprenditore dovrebbe poter trarre il principio cui attenersi per evitare la sanzione e soprattutto la comprensione che la norma di comportamento violata era anche quella adeguata ad evitare la compromissione del bene giuridico tutelato, non puo’ farsi a meno di rilevare che negli anni a ridosso della citata sentenza della Corte costituzionale la giurisprudenza di questa Corte presentava numerosi contributi che, per quanto riguarda il reato di bancarotta fraudolenta pre-fallimentare, fornivano principi utili in tal senso.

Mettevano, cioe’, l’accento sul fatto che, per la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione occorre accertare che l’imprenditore, con la consapevolezza di aggravare il proprio stato di dissesto, distacchi un bene dal suo patrimonio, sottraendolo alla garanzia dei creditori. La facolta’ dell’imprenditore di disporre dei suoi beni prima della dichiarazione di fallimento trova infatti un limite nella destinazione del patrimonio medesimo alla funzionalita’ dell’impresa ed allo adempimento delle obbligazioni contratte (Sez. 5, n. 7178 del 10/05/1983, ric. Calzolari, Rv. 160107; conf mass. n. 140253; n. 145258).

Analogamente puo’ ricordarsi Sez. 5, n. 2674 del 12/12/1979 (dep. 1980), ric. Israelachvili, Rv. 144467, secondo cui per distrazione deve intendersi qualunque fatto diverso dall’occultamento, dissimulazione, distruzione, dissipazione di beni e dalla fraudolenta esposizione di passivita’ inesistenti, mediante il quale l’imprenditore faccia coscientemente uscire dal proprio patrimonio uno o piu’ beni al fine di impedirne l’apprensione da parte degli organi del fallimento.

E, ancora, a ritroso, si rinviene Sez. 5, n. 14905 del 25/02/1977, ric. Melone, Rv. 137341 che affermo’ il principio per cui l’elemento psicologico del reato dibancarotta fraudolenta per distrazione o per occultamento e’ il dolo generico, e consiste nella coscienza e volonta’ di compiere gli atti di distrazione o di occultamento, per i quali, sebbene abbiano la sostanza della frode, non e’ richiesto il fine specifico di recare pregiudizio ai creditori. Ma poiche’ distrazioni e occultamenti possono verificarsi in momenti diversi ed anche remoti della vita dell’impresa, ai fini del delitto di bancarotta fraudolenta assumono rilevanza i fatti posti in essere in previsione dell’insolvenza e della probabile dichiarazione di fallimento, perche’ soltanto in relazione a tali fatti puo’ sussistere la consapevolezza di sottrarre beni alla esecuzione concorsuale.

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Non puo’ tuttavia negarsi che tale netta tendenza giurisprudenziale ha registrato una certa correzione di rotta nella individuazione dei requisiti fondanti, in epoche piu’ recenti, se si considerano le non poche pronunce che hanno spostato l’accento sul fatto che nel reato in esame i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualunque tempo essi siano stati commessi, e quindi anche se la condotta si e’ realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza (Sez. 5, n. 39546 del 2008, ric. Bonaldo, non massimata): un principio richiamato, a fini decisori, anche nella motivazione della sentenza delle SSUU n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, peraltro incentrata su una diversa questione giuridica.

In precedenza, nello stesso senso, tra le molte, Sez. 5, n. 9430 del 17/05/1996 Rv. 205920, ric. Gennari, era stata cosi’ massimata: “l’elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta, e’ costituito dal dolo generico e, quindi, dalla coscienza e volonta’ dell’azione, compiuta con la consapevolezza, insita nel concetto stesso di distrazione, del depauperamento o della possibilita’ del depauperamento della societa’ in danno dei creditori. Sul dolo non ha incidenza, quindi, ne’ la finalita’ perseguita in via contingente dal soggetto, che e’ fuori della struttura del reato, ne’ il recupero o la possibilita’ di recupero del bene distaccato, attraverso specifiche azioni esperibili, in quanto la norma incriminatrice punisce, in analogia alla disciplina dei reati che offendono comunque il patrimonio, il fatto della sottrazione, nel quale si traduce, con corrispondente danno, ontologicamente, ogni ipotesi di distrazione. La sottrazione si perfeziona al momento del distacco dei beni dal patrimonio della societa’, anche se il reato viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento, e prescinde dalla validita’, opponibilita’ e dagli effetti civili del trasferimento e dalle eventuali azioni esperibili per l’acquisizione del bene. Il recupero del bene, reale o soltanto potenziale, e’ un “posterius” che non ha incidenza giuridica sulla fattispecie ormai perfetta ed e’ equiparabile alla restituzione della refurtiva operata dalla polizia”.

Proprio tale ultima ricostruzione della fattispecie astratta, tuttavia, a ben vedere si ancora al “concetto stesso di distrazione” e di “possibilita’ del depauperamento della societa’ in danno dei creditori” come capaci ed anche necessari ad integrare oggettivamente e soggettivamente il reato, sicche’ non puo’ negarsi che in essa sia presente l’attenzione dell’interprete alla qualita’, natura ed oggetto del distacco che deve pur sempre rappresentare una sottrazione, un permanente segno “meno” nel patrimonio inteso come garanzia per la massa dei creditori, quali risulteranno titolati per la procedura concorsuale.

In altri termini va rilevato che la pur corretta osservazione della sentenza da ultimo citata, secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare (articolo 216, comma 1, n. 1) e’ connotata dal dolo generico e cioe’ dalla consapevolezza e volonta’ di compiere uno o piu’ degli atti descritti dal precetto, ha portato tale filone ermeneutico su una posizione che schiaccia in termini assertivi la prospettiva della ricerca della prova sul punto genetico del distacco, a prescindere dalla ricerca e dall’approfondimento della qualita’ del distacco stesso e dalla valutazione dell’ulteriore requisito che per legge gli compete, ossia quello della concreta idoneita’ a porre in pericolo la garanzia che la massa dei creditori, al momento del fallimento, sara’ in grado di escutere.

Osserva, per contro, in motivazione Sez. 5, n. 16388 del 2011, ric. Barbato, che “l’offesa provocata dal reato non puo’ ridursi al mero impoverimento dell’asse patrimoniale dell’impresa, ma si restringe alla diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori. Questi ultimi, quali persone offese, sono – invero – l’indispensabile referente per Io scrutinio in discorso. In sostanza, e’ integrativa del reato non gia’ la sottrazione di ricchezza che costituisce l’offesa del reato, ma soltanto quella che reca danno alle pretese dei creditori”.

Non puo’ essere infatti ignorato,

dalla analisi che l’interprete deve compiere, che lontano dalla fase di crisi o di insolvenza, e in specie quando la impresa o la societa’ sono in bonis, l’imprenditore puo’ dare dinamicamente a singoli propri beni delle destinazioni che non necessariamente collidono ed anzi possono coesistere col principio di responsabilita’ di cui all’articolo 2740 c.c., essendo egli semmai tenuto alla conservazione del valore del patrimonio nel suo complesso.

Egli e’ anzi abilitato a fare spese personali o per la famiglia la cui entita’ non deve essere neppure assiomaticamente minima se la condizione economica glielo consente (arg. L. Fall., ex articolo 217, comma 1, n. 1); non e’ perseguibile neppure a titolo di bancarotta semplice se, ancora quando le sue condizioni sono favorevoli, impiega una parte contenuta del suo patrimonio in operazioni imprudenti; ne’ il singolo suo creditore potrebbe attivare i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (articoli 2900 e 2901 c.c.) se non ricorresse, quale effetto del suo comportamento quale debitore, una lesione al patrimonio capace di mettere in dubbio la realizzazione coattiva del credito.

A cio’ va aggiunto che l’affermazione per cui ogni distacco ingiustificato dal patrimonio della impresa o societa’ integra -indistintamente e in se’

– l’elemento oggettivo del reato di cui alla L. Fall., articolo 216 e solo per una regola prudenziale se ne rimanda la punizione al momento del fallimento dichiarato, non tiene in conto i principi affermati in tema di c.d. “bancarotta riparata” da una ampia e coesa giurisprudenza, la quale non ha difficolta’ a negare che resti integrato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale nel caso in cui la somma sottratta dalle casse sociali, riportata da relativa annotazione contabile, sia incontrovertibilmente riversata nella sua integralita’ – dai soci che l’avevano prelevata – nelle casse della societa’ prima della dichiarazione di fallimento; infatti – prosegue – ancorche’ il delitto di bancarotta abbia natura di reato di pericolo, per l’individuazione del relativo momento consumativo deve aversi riguardo alla dichiarazione giudiziale di fallimento e non gia’ all’atto antidoveroso, con la conseguenza che la valutazione del pregiudizio ai creditori deve essere valutata al momento di tale dichiarazione e non a quello della storica commissione della condotta (Sez. 5, n. 7212 del 26/01/2006, ric. Arcari, Rv. 233604; conf. N. 3622 del 2007, ric. Morra, Rv. 236051; Sez. 5, n. 39043 del 21/09/2007, Spitoni, Rv. 238212; Sez. 5, n. 8402 del 03/02/2011, ric. Cannavale, Rv. 249721; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255576; Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014,Lelli, Rv. 261347; Sez. 5, n. 4790 del 20/10/2015 (dep. 2016), ric. Budola, Rv. 266025).

La casistica sottostante a tali pronunce rende evidente, come sottolineato da autorevole dottrina, che la bancarotta riparata e’ il sintomo che la offensivita’ della condotta e’ limitata ai fatti che creano un pericolo concreto e dunque attiene non alla punibilita’ ma alla oggettivita’. Essa inoltre aiuta a comprendere praticamente come la stessa giurisprudenza abbia finito per riconoscere che diminuzioni delle risorse societarie, nelle forme ad esempio del prelevamento dalla cassa di importi anche rilevanti – ma regolarmente contabilizzato -, di finanziamenti a terzi o a socio, cui faccia seguito, prima della dichiarazione di fallimento, un atto patrimoniale di segno contrario, restitutorio o anche compensativo, capace di annullare integralmente la lesione al patrimonio, non integrano il reato di bancarotta.

Tale giurisprudenza, che pure rimane condivisibilmente ancorata alla configurazione della bancarotta pre-fallimentare come reato di pericolo, giunge, attraverso la constatazione che il pregiudizio ai creditori deve sussistere al momento della dichiarazione giudiziale di fallimento – che infatti e’ anche il momento consumativo della fattispecie -, al rilievo che il detto pericolo va valutato “in concreto”, quando cioe’ possa affermarsi che la diminuzione della consistenza patrimoniale comporta uno squilibrio tra attivita’ e passivita’.

Una esigenza gia’ avvertita specificamente dalla piu’ recente giurisprudenza di questa Corte che ha segnalato come, sebbene ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non sia necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, la necessita’, invece, dell’aver cagionato il depauperamento dell’impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attivita’ rende la bancarotta fraudolenta patrimoniale un reato di “pericolo concreto”, dove la concretezza del pericolo assume una sua dimensione effettiva soltanto nel momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv. 261683).

Cio’ che non significa confondere l'”esposizione a pericolo” – sufficiente per la integrazione del reato – con “il danno” alla massa dei creditori – requisito non richiesto dalla norma come essenziale, anche perche’, viceversa, la assenza di danno non e’ essa stessa prova di mancata esposizione a pericolo, potendo viceversa derivare dalla complessiva attivita’ di recupero posta in essere, dopo il fallimento, dal curatore, con individuazione di assi patrimoniali capaci di neutralizzare le esposizioni passive.

Il punto e’, semmai, che reputare sufficiente – in sede di interpretazione ed applicazione della fattispecie – la constatazione in se’ dell’atto distrattivo equivale ad aderire ad una ricostruzione di quella in termini di “pericolo presunto” e cioe’ come ipotesi criminosa che si affida ad una catena di presunzioni proprio sulla rimproverabilita’ della esposizione a pericolo del patrimonio, destinata a divenire reato fallimentare, pero’, solo con la successiva declaratoria giudiziale: con il che puo’ rendersi plausibile, in taluni casi – come quelli appena richiamati – il sospetto di addebito di responsabilita’ oggettiva.

I pericolo previsto dalla bancarotta pre-fallimentare – che e’ anche l’evento giuridico del reato come ribadito da Sez. u. n. 21039 del 2011, Loy non puo’ che essere correlato alla idoneita’ dell’atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrita’ della garanzia dei creditori in caso di apertura di procedura concorsuale – non dunque come singoli, ma come categoria -, con una analisi che deve riguardare in primo luogo l’elemento oggettivo, per investire poi in modo omogeneo l’elemento soggettivo e che certamente deve poggiare su criteri “ex ante”, in relazione alle caratteristiche complessive dell’atto stesso e della situazione finanziaria della societa’, laddove l'”anteriorita’” di regola e’ tale relativamente al momento della azione tipica, senza pero’ che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione, fino all’epoca che precede l’atto di apertura della procedura e senza, comunque, che possano acquisire rilevanza, nella prospettiva che qui interessa, fattori non imputabili come un tracollo economico.

In tal senso puo’ trovare spazio anche il principio, espresso da Sez. 5, n. 44933 del 26/09/2011, Pisani, Rv. 251214 secondo cui il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e’ reato di pericolo e non e’ pertanto decisivo che al momento della consumazione l’agente non avesse consapevolezza dello stato d’insolvenza dell’impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato; quando, si aggiunge qui, oggetto di consapevolezza fosse tuttavia, in relazione alla concreta situazione della societa’, l’incidenza dell’atto distrattivo sulle prospettive di soddisfacimento concorsuale dei creditori.

Ed e’ utile, in una prospettiva complementare riguardo al requisito della concretezza del pericolo da provare, ricordare anche la giurisprudenza sul reato di bancarotta relativa alla contestazione di distrazione di beni acquisiti in leasing. Anche in questo caso questa Corte (Sez. 5, n. 3612 del 06/11/2006 (dep. 2007), ric. Tralicci, Rv. 236043) ha ritenuto decisivo l’accertamento sulla concretezza del pericolo cagionato e cioe’ sul se la distrazione di beni in leasing avesse determinato un effettivo nocumento nei confronti dei creditori, nocumento escluso quando ad esempio elevati sarebbero stati i debiti a carico della curatela per il mancato pagamento del canone di leasing da parte dell’imprenditore (conformi Sez. 5, n. 30492 del 23/04/2003, ric. Lazzarini, Rv. 22770; Sez. 5, n. 9427 del 03/11/2011 (dep. 2012), Cannarozzo, Rv. 251996).

. Quello fin qui illustrato e’ un principio che si affianca a quello – condiviso dalla giurisprudenza di legittimita’ nella sua assoluta maggioranza – della erroneita’ di una ricostruzione della fattispecie in esame come reato in cui il fallimento o il dissesto giochino il ruolo di evento del reato, rispetto al quale, dunque, cercare la prova del nesso di causalita’ (o di concausalita’ o di esclusione della causalita’ per causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento) e della copertura dell’elemento psicologico, in termini di previsione e volonta’: una ricostruzione che non rispecchierebbe il paradigma del reato concepito dal legislatore del 1942, ma passato indenne attraverso successivi interventi sulla materia -, e che nella sua minoritaria espressione giurisprudenziale (Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493) e’ comunque indice della insofferenza talora generata dagli indirizzi piu’ chiusi a talune pur consistenti sollecitazioni dottrinarie, dovendosi anche tenere conto della sempre maggiore sensibilizzazione della giurisprudenza costituzionale e di legittimita’, nella direzione dell’abbandono di forme di responsabilita’ oggettiva, non aborrite dalla legislazione del tempo in cui e’ stato generato il reato.

Allo stesso modo e per le stesse ragioni, non sembra condivisibile una ricostruzione della struttura del reato di bancarotta pre-fallimentare e in particolare del suo elemento soggettivo in termini di rappresentazione, in capo all’agente, della futura dichiarazione di fallimento, rappresentazione fondata sull’attualita’ del dissesto e, ancor prima, sulla prefigurazione che la sua condotta distrattiva cagionera’ verosimilmente il dissesto (Sez. F, n. 41665 del 10/09/2013, Gessi, Rv. 257231), dovendosi – tra l’altro, sul piano letterale sottolineare che la dichiarazione di fallimento – espressamente richiamata dalla L. Fall., articolo 216 – riporta (L. Fall., ex articolo 5) al presupposto stato di “insolvenza” il quale a sua volta e’ stato configurato dal legislatore come quello che si manifesta con inadempimenti o altri fatti che dimostrino la incapacita’ di soddisfare regolarmente le obbligazioni contratte. Una crisi che sovente e’ di natura anche solo finanziaria, laddove la nozione di dissesto (che pure compare in altri precetti come la L. Fall., articoli 217, 223 e 224) evoca quella di crisi qualificata e caratterizzata dal fatto che il prevalere del passivo sull’attivo e’ frutto di uno sbilanciamento che, per la sua entita’, appare irreversibile in ragione del detto stato di insolvenza.

PENALE TRIBUTARIO BOLOGNA IMOLA RAVENNA FORLI L’emissione di fatture per operazioni inesistenti

E’ un principio, quello che qui si intende sostenere, che vuole dare atto, in primo luogo, del valore fortemente indiziante – ai fini della configurazione delle componenti oggettiva e soggettiva della fattispecie – dell’avere agito, l’agente, nella “zona di rischio penale” (vedi, in senso analogo, Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879), che e’ quella che in dottrina viene comunemente individuata come prossimita’ dello stato di insolvenza, quando l’apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall’agente imprenditore o figura equiparata, e’ destinato a orientare la “lettura” di ogni sua iniziativa di distacco dei beni – fatte salve quelle inquadrabili nelle altre ipotesi di reato pure previste dalla L. del 1942 – nel senso della idoneita’ a creare un pericolo per l’interesse dei creditori sociali. Una condizione, pero’, solo eventuale o possibile, e cio’ con una certa differenza rispetto a quanto previsto gia’ ora da una parte della giurisprudenza (non senza contrasti), con riferimento alla posizione del concorrente extraneus, in relazione al quale si e’ sostenuto essere invece – necessario non porre in dubbio la conoscenza dello stato di decozione dell’impresa da cui il denaro proviene (Sez. 5, n. 41333 del 27/10/2006, Tisi, Rv. 235766; Sez. 5, n. 16000 del 2012, ric. Scalera, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 16388 del 2011, ric. Barbato, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011, Rosace, Rv. 250409; contra Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016, Morosi, Rv. 267059; Sez. 5, n. 9299 del 13/01/2009, Poggi Longostrevi, Rv. 243162; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879).

Quanto detto non esclude, tuttavia, che il reato proprio possa rimanere integrato da comportamenti anche antecedenti a tale fase della vita della azienda, a condizione pero’ che questi presentino caratteristiche obiettive (si pensi alla operazione fittizia, alla distruzione o alla dissipazione) che, di regola, non richiedono particolari e ulteriori accertamenti per provare la esposizione a pericolo del patrimonio e che risultino e permangano, come le seguenti, congruenti rispetto all’evento giuridico (esposizione a pericolo degli interessi della massa) che poi si addebita all’agente.

Per le residue tipologie di bancarotta, ossia essenzialmente gli atti di spesa non orientati su obiettivi correlati all’oggetto della impresa e cronologicamente distaccati, in modo significativo, dall’epilogo della vita della stessa, il compito dell’interprete, volto sempre a dimostrare la idoneita’ lesiva di simili comportamenti rispetto agli interessi dei creditori della procedura concorsuale, si fa’ proporzionalmente piu’ oneroso perche’, pur senza mai cadere nella necessita’ di provare la previsione, da parte dell’imprenditore (o equiparato) del fallimento o del dissesto, deve tenere conto della eventuale presenza di tutti gli elementi sopra descritti, quali emergano dalle indagini o siano allegati in modo serio dall’indagato. E sotto tale prospettiva appare possibile valorizzare quanto osservato in recenti sentenze di legittimita’ che, nella parte in cui hanno sottolineato che la presenza, nella norma, dell’elemento rappresentato dalla dichiarazione di fallimento – momento consumativo – serve ad “attualizzare” la lesivita’ correlata al comportamento (v. Sez. 5, n. 32031 del 2014, Dacco’), di fatto possono servire come indicatore della necessita’ di una valutazione non statica ma dinamica della azione dell’imprenditore, da leggersi (v. Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, (dep. 2015), Geronzi Rv. 263805), non nel senso di una progressione della offesa, ma come prospettiva nella quale deve essere valutata l’effettiva offensivita’ della condotta.

Una ricostruzione ermeneutica, quella fin qui prospettata, che rende evidente come, quale che sia la collocazione della dichiarazione di fallimento all’interno della fattispecie – anche ove si candidasse quest’ultima a ricoprire il ruolo di condizione per la sola punibilita’, come fortemente sollecitato dalla dottrina alla quale da ultimo la giurisprudenza di questa Corte ha mostrato apertura (Sez. 5, n. 13910 del 2017, Santoro) -, non ne risulta comunque esclusa l’esigenza di una indagine sulla imputabilita’ soggettiva del pericolo concreto per la massa dei creditori, come da tempo pone in luce una parte non minoritaria della dottrina. Sicche’ la qualificazione della dichiarazione di fallimento come condizione obiettiva estrinseca di punibilita’, che non ha qui immediata rilevanza in quanto estranea ai motivi dell’odierno ricorso, ne risulta nondimeno criticamente disattesa, in quanto assunta a premessa per negare rilevanza all’indagine sulle implicazioni soggettive della qualificazione della bancarotta fraudolenta pre-fallimentare come reato di pericolo concreto.

Anche nella Relazione alla L. del 1942, del resto, si affermava che l’avere posto le condotte della L. Fall., articolo 216in relazione con il fallimento, tale da rappresentarne la natura di antecedente logico e storico dovrebbe “vietare di temere che la distrazione possa essere punita quando ai creditori non abbia prodotto alcun danno”.

  1. In conclusione, dati i principi sopra esposti, non risulta che il giudice a quo ne abbia fatto corretta applicazione.

E’ stata giudicata distrattiva la vendita di un immobile della societa’, per un valore dimezzato rispetto a quello assunto in contabilita’ e cosi’ considerato di mercato, in favore di familiari stretti dello stesso imprenditore.

La analisi, che pur prende le mosse da circostanze indizianti circa la natura fraudolenta del distacco del bene con le descritte modalita’, tuttavia e’ reticente per le ricadute sulla ricostruzione dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato rispetto ad un altro dato storico-giuridico presente nel resoconto del giudice: e cioe’ che, tenuto conto dell’epoca della vendita (tre anni prima della dichiarazione di fallimento), altro analogo comportamento dello stesso imputato (la vendita sottocosto di merci aventi un valore assai maggiore di quello dell’immobile), coevo al precedente, parimenti contestato dalla accusa, e’ stato ritenuto privo di rilievo penale avendo portato alla assoluzione per insussistenza del fatto.

.

La vendita sottocosto di un cespite conferito nel capitale sociale, con acquisizione di liquidita’ per la societa’ e contestuale vantaggio (anche solo indiretto) dell’amministratore di questa, integra probabilmente gli estremi dell’infedelta’ patrimoniale (articolo 2634 c.c.). Ma non per questo puo’ essere ricondotto anche a una fattispecie di bancarotta.

Perche’ una tale condotta possa qualificarsi come ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria a norma della L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 1) sarebbe necessario che avesse cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della societa’; perche’ possa qualificarsi come ipotesi di bancarotta prefallimentare per distrazione a norma della L. Fall., articolo 216, n. 1), sarebbe necessario che il fallimento sopravvenuto tre anni dopo fosse almeno prevedibile al momento del fatto.

Si e’ infatti gia’ rilevato nella giurisprudenza di questa Corte come sia possibile una condotta di infedelta’ patrimoniale che non integri bancarotta per distrazione (Sez. 5, n. 6140 del 16/01/2007, Rv. 236054), posto che si tratta di reati in rapporto di specialita’ reciproca e preordinati alla tutela di interessi diversi, l’uno i creditori sociali (L. Fall., articolo 216), l’altro il patrimonio sociale (articolo 2634 c.c.).

Escluso che sia qui in discussione la bancarotta impropria, non contestata, la condotta di’ infedelta’ patrimoniale (che sembra essere sullo sfondo della diversificata decisione assunta dal giudice a quo in relazione a due analoghe condotte di vendita sottocosto) va dunque necessariamente analizzata con riferimento al contesto cronologico e storico e alle implicazioni soggettive dell’agente, posto che la affermazione della ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale si’ giustifica, dato il rapporto di specialita’ specifica tra fattispecie, solo se l’ingiustificato distacco di una parte del valore del bene, frutto dell’atto infedele dell’amministratore, sia anche espressione, per la prossimita’ allo stato di insolvenza o per altra evidente causa, di una consapevole e concreta esposizione a pericolo degli interessi dei creditori.

Avvocato Reati Tributari BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA

Art. 216.
Bancarotta fraudolenta.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. (1)

Cassazione penale sez. V, 08/02/2021, n.18677

Concorre in qualità di “extraneus” nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, il legale o il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell’imprenditore o dell’amministratore di una società in dissesto, fornisca a questi consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assista nella conclusione dei relativi negozi, ovvero svolga un’attività diretta a garantire l’impunità o a rafforzare, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l’altrui progetto delittuoso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell’imputato che, quale consulente di una società, era stato l’ideatore di complesse operazioni di fusione per incorporazione finalizzate alla dismissione del patrimonio della fallita, predisponendo il contenuto degli atti negoziali e gestendo la definizione dei relativi rapporti economici).

Cassazione penale sez. V, 05/02/2021, n.11420

In tema di reati fallimentari, l’articolo 216, comma 1, numero 2, della legge Fallimentare configura due diverse, alternative ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale. La prima consiste nella sottrazione o distruzione (cui è parificata l’omessa tenuta) dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. La seconda è quella di tenuta della contabilità in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto sui libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e richiede il dolo generico. Trattandosi di ipotesi alternative, qualora venga contestata la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari (anche eventualmente nella forma della loro omessa tenuta), non può essere addebitata all’agente anche la fraudolenta tenuta delle medesime, giacché tale ultima ipotesi presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli stessi organi fallimentari.

 

Gli ambiti di operatività ricoprono tutti i settori del diritto penale ed in particolare:

  • Delitti Contro La Persona
  • Delitti Contro La P.A.
  • Delitti Contro Il Patrimonio
  • Reati Sessuali
  • Reati Economici E Societari
  • Reati Finanziari
  • Reati Fallimentari
  • Reati Contro La Salute E Sicurezza Sul Lavoro
  • Reati Informatici
  • Reati Ambientali
  • Reati Urbanistici
  • Reati Tributari
  • Reati In Materia Di Stupefacenti
  • Reati In Materia Di Privacy
  • Responsabilità Professionale Medica

 

 

Modifiche normative di maggior favore in materia di dichiarazione infedele (Decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, articolo 4; decreto legislativo 24 settembre 2015 n. 158, articolo 4)

In materia di reati tributari, il reato di dichiarazione infedele, di cui all’articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000, come delineato a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 158 del 2015, si pone in continuità normativa con la fattispecie previgente, ma è più favorevole all’imputato, avendo la nuova disciplina non solo innalzato le soglie di punibilità, ma anche circoscritto l’area dell’intervento penale, escludendovi gli aspetti valutativi (cfr. quanto previsto nei commi 1-bis e 1-ter dell’articolo 4, come introdotti dal citato decreto legislativo n. 158 del 2015) e le condotte non connotate da frode (cfr. la sostituzione della parola “fittizi” con l’attuale “inesistenti” nel comma 1 dell’articolo 4, sempre a opera del decreto legislativo n. 158 del 2015). In definitiva, la condotta ora punibile ex articolo 4, se caratterizzata dal superamento delle soglie di punibilità, si sostanzia: 1) nell’annotazione di componenti positivi del reddito per ammontare inferiore a quello reale (omessa annotazione di ricavi); 2) nell’indebita riduzione dell’imponibile tramite l’indicazione nella dichiarazione di costi inesistenti (e non più fittizi), ossia di componenti negativi del reddito mai venuti a esistenza in rerum natura; e 3) nelle sottofatturazioni ovvero nell’indicazione in fattura di un importo inferiore a quello reale, in maniera da consentire all’emittente il conseguimento di ricavi non dichiarati (cfr., in proposito, il comma 3 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000, che esclude espressamente la natura “fraudolenta” delle sottofatturazioni, che quindi rientrano nel raggio della condotta punibile dell’articolo 4).

Sezione III, sentenza 22 marzo-20 giugno 2017 n. 30686

Nozione di amministratore di fatto e art. 2639 c.c. (Decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74)

In tema di reati tributari, ai fini della attribuzione a un soggetto della qualifica di amministratore “di fatto” non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale. A tal fine, per delineare la figura dell’amministratore di fatto è perciò necessario attingere ai criteri stabiliti dall’articolo 2639 del codice civile, con la conseguenza che amministratore di fatto è dunque colui il quale eserciti in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione: “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.

Sezione III, sentenza 20 gennaio- 3 luglio 2017 n. 31906

 

 

ARTICOLO N.2

Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

 

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
  2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

 

ARTICOLO N.3

Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

 

  1. Fuori dei casi previsti dall’art. 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
  2. a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
  3. b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro un milione.

 

ARTICOLO N.4

Dichiarazione infedele.

 

  1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
  2. a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila (1);
  3. b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni (2).

(1) Lettera modificata dall’articolo 2, comma 36-vicies semel, lett. d) del D.L. 13 agosto 2011, n. 138; vedi anche il comma 36-vicies bis del medesimo articolo 2.

(2) Lettera modificata dall’articolo 2, comma 36-vicies semel, lett. e) del D.L. 13 agosto 2011, n. 138; vedi anche il comma 36-vicies bis del medesimo articolo 2.

 

ARTICOLO N.5

Omessa dichiarazione.

 

  1. E’ punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro trentamila.
  2. Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

 

ARTICOLO N.6

Tentativo.

 

  1. I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo.

 

ARTICOLO N.7

Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio.

 

  1. Non danno luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile, nonchè le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio.
  2. In ogni caso, non danno luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste nel comma 1, lettere a ) e b ), dei medesimi articoli.

 


Delitti in materia di documenti e pagamento di imposte. 

 

ARTICOLO N.8

Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

 

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
  2. Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.

 

ARTICOLO N.9

Concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

 

  1. In deroga all’art. 110 del codice penale:
  2. a) l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 2;
  3. b) chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’art. 8.

 

ARTICOLO N.10

Occultamento o distruzione di documenti contabili.

 

  1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

 

ARTICOLO N.10 bis

Omesso versamento di ritenute certificate.

 

  1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta .

 

ARTICOLO N.10 ter

Omesso versamento di IVA (1)

 

  1. La disposizione di cui all’ articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

 

 (1) La Corte Costituzionale, con sentenza 8 aprile 2014, n. 80 (in Gazz.Uff., 16 aprile, n. 17), ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del presente articolo, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38.

 

ARTICOLO N.10 quater

Indebita compensazione

 

  1. La disposizione di cui all’ articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’ articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 , crediti non spettanti o inesistenti.

 

ARTICOLO N.11

Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

 

  1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi e’ superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
  2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per se’ o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente e’ superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.”.

 

TITOLO III DISPOSIZIONI COMUNI

 

ARTICOLO N.12

Pene accessorie.

 

  1. La condanna per taluno dei delitti previsti dal presente decreto importa:
  2. a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni;
  3. b) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni;
  4. c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni;
  5. d) l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria;
  6. e) la pubblicazione della sentenza a norma dell’art. 36 del codice penale.
  7. La condanna per taluno dei delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 8 importa altresì l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni, salvo che ricorrano le circostanze previste dagli articoli 2, comma 3, e 8, comma 3.

2-bis. Per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto l’istituto della sospensione condizionale della pena di cui all’articolo 163 del codice penale non trova applicazione nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d’affari; b) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro

 

ARTICOLO N.13

Circostanza attenuante. Pagamento del debito tributario.

 

  1. Le pene previste per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino ad un terzo e non si applicano le pene accessorie indicate nell’art. 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.
  2. A tale fine, il pagamento deve riguardare anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, sebbene non applicabili all’imputato a norma dell’art. 19, comma 1.

2-bis. Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale puo’ essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2 .

  1. Della diminuzione di pena prevista dal comma 1 non si tiene conto ai fini della sostituzione della pena detentiva inflitta con la pena pecuniaria a norma dell’art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

 

ARTICOLO N.14

Circostanza attenuante. Riparazione dell’offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito tributario.

 

  1. Se i debiti indicati nell’art. 13 risultano estinti per prescrizione o per decadenza, l’imputato di taluno dei delitti previsti dal presente decreto può chiedere di essere ammesso a pagare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, una somma, da lui indicata, a titolo di equa riparazione dell’offesa recata all’interesse pubblico tutelato dalla norma violata.
  2. La somma, commisurata alla gravità dell’offesa, non può essere comunque inferiore a quella risultante dal ragguaglio a norma dell’art. 135 del codice penale della pena minima prevista per il delitto contestato.
  3. Il giudice, sentito il pubblico ministero, se ritiene congrua la somma, fissa con ordinanza un termine non superiore a dieci giorni per il pagamento.
  4. Se il pagamento è eseguito nel termine, la pena è diminuita fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’art. 12. Si osserva la disposizione prevista dal comma 3 dell’art. 13.
  5. Nel caso di assoluzione o di proscioglimento la somma pagata è restituita.

 

[omissis]

 

ARTICOLO N.17

Interruzione della prescrizione.

 

  1. Il corso della prescrizione per i delitti previsti dal presente decreto è interrotto, oltre che dagli atti indicati nell’art. 160 del codice penale, dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle relative violazioni.

1-bis. I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo (1).

 

Nozione di amministratore di fatto e art. 2639 c.c. (Decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74)

In tema di reati tributari, ai fini della attribuzione a un soggetto della qualifica di amministratore “di fatto” non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale. A tal fine, per delineare la figura dell’amministratore di fatto è perciò necessario attingere ai criteri stabiliti dall’articolo 2639 del codice civile, con la conseguenza che amministratore di fatto è dunque colui il quale eserciti in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione: “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.

Sezione III, sentenza 20 gennaio- 3 luglio 2017 n. 31906

Omesso versamento di ritenute e possibilità di definizione del contenzioso in sede amministrativa 

Nel caso in cui il datore di lavoro ometta di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali dei suoi lavoratori ha la facoltà, prima della comunicazione della notizia di reato, entro 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, di definire il contenzioso in sede amministrativa. Per poter esercitare tale facoltà, l’avviso di accertamento inviato dall’INPS al datore di lavoro deve contenere l’indicazione del periodo cui si riferisce l’omesso versamento delle ritenute, il relativo importo, l’indicazione dell’ente presso il quale deve essere effettuato il versamento entro i 3 mesi e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità sopra descritta.

 

Avvocato Diritto Fallimentare, Bancarotta Semplice e Bancarotta Fraudolenta

Lo studio offre consulenza preventiva alle imprese individuali ed alle società, nonché assistenza in ogni fase processuale, comprese quella cautelare reale (provvedimenti di sequestro) e/o cautelare personale (custodia cautelare in carcere, agli arresti domiciliari, ecc.) per fatti di rilevanza penale commessi dall’imprenditore commerciale per l’impresa individuale e dall’amministratore per l’attività di impresa svolta in forma societaria in epoca antecedente o coeva la dichiarazione fallimento, ovvero consumati nel corso della procedura concorsuale.

Le fattispecie di reato più comunemente trattate dallo studio sono quelle di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale (art. 216 R. D. 16 marzo 1942 n.267), bancarotta semplice (art. 217 R. D. 16 marzo 1942 n.267) e di bancarotta cosiddetta impropria (art. 223 R. D. 16 marzo 1942 n.267) riferita a quei fatti di reato posti in essere dagli amministratori, dall’institore dell’imprenditore fallito, direttori generali, sindaci e liquidatori di società.

 

 

I REATI AMBIENTALI PREVISTI DAL CODICE PENALE E DALLE LEGGI PENALI SPECIALI

Il corpus normativo italiano in materia di tutela dell’ambiente si è andato progressivamente ampliando, in particolare nell’ultimo decennio, a partire dall’avvento del d.lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), fino ad arrivare alla recente introduzione, nel 2015, di nuove fattispecie di reato nel codice penale (artt. 452 bis e segg. c.p.). La complessità del settore è legata comunque alla copiosa normativa, anche di livello secondario, e alle prassi interpretative seguite dalle singole articolazioni territoriali della Pubblica Amministrazione (es. funzionari ARPA) che si occupano delle verifiche ispettive e dell’accertamento delle eventuali violazioni.

 

Avvocato Reati Societari

Avvocato Evasione Iva e Irpef

Avvocato Falso in bilancio e false comunicazioni sociali

Avvocato reati edilizi Lo Studio opera nel settore del diritto penale dell’edilizia e dell’urbanistica, sia attraverso attività di consulenza sia fornendo assistenza giudiziaria.

L’avvocato Sergio Armaroli penalista ha maturato esperienza nel settore, seguendo da vicino le più recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali.

 

 

Lo Studio opera nel settore del diritto penale dell’edilizia e dell’urbanistica, sia attraverso attività di consulenza sia fornendo assistenza giudiziaria.

L’avvocato Sergio Armaroli penalista ha maturato esperienza nel settore, seguendo da vicino le più recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali.

 

 

Avvocato Diritto Fallimentare, Bancarotta Semplice e Bancarotta Fraudolenta

Avvocato Reati Finanziari

Avvocato Abuso edilizio e Reati ambientali

 

L’abuso edilizio è un reato contravvenzionale punito con l’arresto o con  l’ammenda.

Nello specifico, l’art. 44 DPR 380/2001 prevede per l’abuso edilizio, a meno che il fatto costituisca un reato più grave, ferme comunque le sanzioni amministrative, le seguenti pene:

  • l’ammendafino a 10.329 euro per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalla legge, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;
  • l’arrestofino a due anni e l’ammenda da 5.164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione;
  • l’arrestofino a due anni e l’ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio.

La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso. 

REATI AMBIENTALI

, il D.lgs. n. 152/2006 “Norme in materia ambientale” ha introdotto anche nel nostro ordinamento giuridico i seguenti reati:

 

– Impedimento del controllo;

– Omessa bonifica;

– Inquinamento ambientale: chi è accusato di aver deteriorato la qualità delle acque o dell’aria, di aver danneggiato un ecosistema, o di aver compromesso la biodiversità agraria e naturale della flora e della fauna, rischia una sanzione da 2 a 6 anni di reclusione e dai 10.000 ai 100.000 euro di multa;

– Disastro ambientale: comportamenti che alterino l’equilibrio di un ecosistema in modo irreversibile e oneroso da risolvere, o che compromettano l’ambiente tanto da costituire un pericolo per l’incolumità pubblica, sono punibili con la reclusione dai 5 ai 15 anni;

– Abuso di materiale radioattivo: trafficare e abbandonare materiale ad alta radioattività nell’ambiente, cedendolo, trasportandolo o acquistandolo in modo illecito, può costare dai 2 ai 6 anni di reclusione e una multa dai 10.000 ai 50.000 euro.

 

La possibilità di incorrere in queste condotte, anche non volontariamente, è più concreta di quanto si pensi: spesso infatti si agisce per trascuratezza, o sulla base di una diversa considerazione dell’ambiente e del territorio.​

I REATI AMBIENTALI PREVISTI DAL CODICE PENALE E DALLE LEGGI PENALI SPECIALI

Il corpus normativo italiano in materia di tutela dell’ambiente si è andato progressivamente ampliando, in particolare nell’ultimo decennio, a partire dall’avvento del d.lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), fino ad arrivare alla recente introduzione, nel 2015, di nuove fattispecie di reato nel codice penale (artt. 452 bis e segg. c.p.). La complessità del settore è legata comunque alla copiosa normativa, anche di livello secondario, e alle prassi interpretative seguite dalle singole articolazioni territoriali della Pubblica Amministrazione (es. funzionari ARPA) che si occupano delle verifiche ispettive e dell’accertamento delle eventuali violazioni

 

Avvocato Reati contro il Patrimonio, Truffa, Appropriazione Indebita

Avvocato Reato di Stalking, Molestie, Sostituzione di Persona

Avvocato Reati di Falso

Avvocato Reati Informatici, Diffamazione via Internet, Pedopornografia online, adescamento on line, accesso abusivo a sistema informatico Con la definizione di “reati informatici” si intende fare riferimento a quelli introdotti nel Codice Penale dalla Legge 547/1993 e a quelli commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche (tra questi: violazione account, accesso abusivo a sistemi informaci, truffe su piattaforme di e-commerce, phishing, riciclaggio elettronico, abusi nell’uso di carte di credito, furto d’identità, diffamazione online).

In particolare, lo sviluppo delle tecnologie informatiche ha permesso di disegnare nuovi scenari che rendono per un verso i singoli utenti più esposti ad essere vittime di illeciti di questo tipo, per l’altro verso aumentano il rischio di violare le varie disposizioni sanzionatorie nello svolgimento della propria attività professionale e commerciale.

 

 

Avvocato Reati contro la Pubblica amministrazione

Avvocato Reati contro la persona

Avvocato Reati contro l’Amministrazione della Giustizia

Avvocato Reato di Associazione per Delinquere

Avvocato Reato di Violenza Sessuale

Avvocato Reato di Favoreggiamento e

Avvocato penale  Responsabilità amministrativa da Reato ( decreto legislativo 231 del 2001)

Avvocato penale riciclaggio e autoriciclaggio

Avvocato penale reati in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro

Avvocato reponsabilità penale dei medici

Avvocato guida in stato d’ebbrezza e reati stradali

 

Reati contro la persona e contro la libertà sessuale

Reati contro il patrimonio

Responsabilità professionale medica

Reati in materia di sostanze stupefacenti

Reati contro l’onore e diffamazione a mezzo stampa

Reati in materia di circolazione stradale

Normativa anti infortunistica e di sicurezza sul lavoro

Difesa di persone offese e parti civili

Reati contro la libertà personale

Diritto delle locazioni. Diritto tributario. Responsabilità Civile. Risarcimento Danni. Diritto di Famiglia, Minorile. Diritti reali, proprietà e possesso. Responsabilità per malpractice (responsabilità medica). Delitti contro la persona e la famiglia. Delitti contro il patrimonio.

Nel nostro ordinamento le pene seguono una classificazione rigidamente strutturata e si distinguono in:

pene principali e secondarie;

pene per i delitti e pene per le contravvenzioni (v. differenze tra delitti e contravvenzioni);

pene restrittive della libertà personale e quelle pecuniarie.

Le pene principali per i delitti sono (art. 17 c.p.):

l’ergastolo;

la reclusione;

la multa.

Le pene accessorie per i delitti sono (art. 19 c.p.):

l’interdizione dai pubblici uffici;

l’interdizione da una professione o da un’arte;

l’interdizione legale;

l’interdizione dagli uffici direttivi delle perone giuridiche e delle imprese;

l’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione;

l’estinzione del rapporto di impiego o di lavoro;

la decadenza o la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori.

Le pene principali per le contravvenzioni sono (art. 17 c.p.):

l’arresto;

l’ammenda.

Le pene accessorie per le contravvenzioni sono (art. 19 c.p.):

la sospensione dell’esercizio di una professione o di un’arte;

la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.

 

 

 

 

Originally posted 2018-12-29 11:39:18.