INCIDENTE MORTALE MACCHINA , MORTE FAMIGLIARE IN INCIDENTE DANNO DA MORTE CONGIUNTI AVVOCATO ESPERTO  PADOVA BOLOGNA ROVIGO VICENZA  TREVISO

NAPOLI INCIDENTE MORTALE AVVOCATO ESPERTO SEDE BOLOGNA PER DANNI 

BENEFICIO INVENTARIO AVVOCATO BOLOGNA

INCIDENTE MORTALE MACCHINA , MORTE FAMIGLIARE IN INCIDENTE DANNO DA MORTE CONGIUNTI AVVOCATO ESPERTO  PADOVA BOLOGNA ROVIGO VICENZA  TREVISO Purtroppo non troppo di rado gli incidenti stradali possono essere anche mortali. In questi momenti terribili , i parenti e i conviventi possono chiedere un risarcimento danni, che viene calcolato prendendo in considerazione le diverse tipologie di danno che la morte di una persona può causare. In specifici casi previsti dalla legge vigente, la morte di una persona può portare a dei danni morali.]

NAPOLI INCIDENTE MORTALE AVVOCATO ESPERTO SEDE BOLOGNA PER DANNI 
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INCIDENTE MORTALE MACCHINA , MORTE FAMIGLIARE IN INCIDENTE DANNO DA MORTE CONGIUNTI AVVOCATO ESPERTO  PADOVA BOLOGNA ROVIGO VICENZA  TREVISO

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. III CIVILE

SENTENZA 22 marzo 2007, n.6946

(Pres. Fiduccia – est. Petti)

Svolgimento del processo

Con citazione del 4 ottobre 2000, R. V., in proprio e quale legale rappresentante dei figli minori G. e G. P., conveniva, dinanzi al tribunale di Torre Annunziata, C.M.G., quale conducente (proprietaria assicurata dell’autoveicolo) e l’assicuratrice Sara e ne chiedeva la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni conseguenti alla morte del marito P. F.

L’attrice sosteneva che l’incidente stradale, avvenuto in Poggiomarino il 12 gennaio 2000, era avvenuto per la responsabilità esclusiva della C., la quale, a bordo di una Lancia Y aveva invaso l’opposta corsia, venendo a collisione con la Ford Fiesta ivi condotta da F.P., che riportava lesioni mortali, decedendo nella stessa giornata.

Si costituiva l’assicurazione, resistendo alla domanda; restava contumace la conducente convenuta.
Il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza del 13 febbraio 2002, ritenuta la colpa esclusiva della C., la condannava in solido con la Sara, al pagamento in favore della vedova e dei figli minori, della somma complessiva di lire 1.220.000.000, oltre interessi e spese di lite.

Contro la decisione proponeva appello la Sara, in punto di concorso di colpa e di eccessiva liquidazione dei danni morali e patrimoniali; restava contumace la C. Si costituiva la R., in proprio e nella qualità, proponendo appello incidentale sempre in punto di ridotta od omessa liquidazione dei danni.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 30 ottobre 2002 così decideva: in parziale riforma ripartisce le colpe, nella misura dell’80% a carico della C. e per il restante 20% a carico del defunto P.

La Corte procedeva quindi (v:amplius in dispositivo) alla rideterminazione delle varie voci di danno, condannando in solido la Sara e la C. alla rifusione dei 2/3 delle spese di primo grado, compensando tra le parti le spese dello appello.

Contro la decisione ricorre R. V., in proprio e nella qualità, deducendo cinque motivi di ricorso. Resiste la Sara con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso merita accoglimento in relazione al primo ed al quarto motivo, assorbito il secondo ed il quinto, rigettandosi nel resto, per le seguenti considerazioni.

Preliminare è la considerazione del primo motivo che attiene alla ricostruzione della dinamica dell’incidente e delle condotte dei conducenti antagonisti, alla luce delle regole di cui al primo e secondo comma dell’articolo 2054 Cc.

Deduce il ricorrente: l’error in iudicando in relazione alla applicazione della regola di cui al primo comma, in relazione alla ricostruzione del fatto storico non controversa per la dinamica dello scontro degli automezzi ed in ordine alle prove di aver fatto, il defunto coniuge, tutto il possibile per evitare il danno. Il motivo è dotato di ampia autosufficienza, indicando le fonti di prova ed in particolare il rapporto dei carabinieri con descrizione del sinistro e dello stato dei luoghi e le foto che illustrano la posizione terminale dei mezzi. Deduce la difesa della ricorrente che l’incidente avvenne per la invasione della corsia, imprevedibile ed improvvisa, e che il P. teneva rigorosamente la destra, procedendo a velocità moderata e che non aveva avuto il tempo tecnico materiale per porre manovre dirette ad evitare il terribile impatto.

Censura poi il passo della sentenza (ff 7 ed 8) dove la Corte dichiara di applicare alla fattispecie un principio di diritto affermato da questa Corte in un caso simile (invasione di semicarreggiata) (cfr Cassazione 3726/94), per sostenere che nella specie il conducente che ha subito l’invasione non aveva dato la prova di aver fatto di tutto il possibile per evitare l’evento, e stabilire, in concreto un nuovo riparto delle colpe, addossando una compartecipazione minima al F.P.

Il ragionamento del giudice del riesame non appare plausibile e neppure giuridicamente fondato, posto che emerge, dalla ricostruzìone del fatto storico, la condotta imprudente ed imperita della C. che con il proprio mezzo ha invaso la corsia, ponendo in essere una gravissima situazione di pericolo, con ciò applicandosi il criterio della causalità esclusiva nella produzione dello evento lesivo (incidente stradale con lesioni mortali), e per contro è dato rilevare una semplice congettura in ordine ad una corresponsabilità minima del P., non suffragata da alcun elemento fattuale di riscontro. come evidenziato dalla obbiettiva ricostruzione fatta dal personale specializzato dell’Arma e dal suo rapporto: mentre a tal fine restava incombente l’indagine circa la esigibilità, da parte del conducente antagonista, per la imprevedibilità e la improvvisa situazione di pericolo, di una manovra di emergenza adeguata, e comunque il riscontro di un suo profilo di colpa

La attribuzione della responsabilità esclusiva, già esattamente considerata del primo giudice, e la illogica applicazione dì una presunzione di colpa a carico del conducente che ha subito l’evento, senza il rilievo di eventuali possibili manovre di emergenza, rendono dunque evidente il fondamento della indicata prima censura sotto i due rilievi dell’error in iudicando per la applicazione di un principio di presunzione semplice,superabile dalla prova contraria (articolo 2054 primo comma Cc) e del difetto di motivazione in ordine alla valutazione comparativa delle condotte dei conducenti antagonisti, secondo una dinamica non controversa in atti.
L’accoglimento del primo motivo determina la necessaria riliquidazione dei danni consequenziali all’evento lesivo, che è plurioffensivo e dunque riverbera i suoi effetti sugli stretti congiunti della vittima.
Venendo pertanto all’esame dei restanti motivi, per chiarezza sarà seguito l’ordine di deduzione:
nel secondo motivo si deduce l’error in iudicando ed il vizio della motivazione sul quantum liquidato ai congiunti come danno patrimoniale emergente e futuro, lamentandosi la irragionevole riduzione compiuta dal giudice di appello anche in relazione alla asserita ascrivibilità del concorso di colpa.

Il motivo resta assorbito, per il quantum, dalla esclusione della ascrivibilità del concorso di colpa e dunque il danno sarà liquidato per l’intero, tenendosi conto della durata prevedibile della attività lavorativa e delle chances di tale attività, e delle condizioni peculiari del nucleo familiare composto dalla moglie e dai due piccoli figli minori, in ordine al dovere di solidarietà per il mantenimento di tale nucleo (cfr:Cassazione 22593/04 per utile riferimento).

Nel terzo motivo si denuncia l’error in iudicando per la negazione della trasmissibilità iure hereditatis del danno biologico da morte, e per la negazione del danno psichico subito e subendo dai figli minori per la perdita della presenza paterna.

Il motivo contiene due diverse censure, che tuttavia risultano infondate per difetto di specificità la prima, e per difetto di prove, anche in via presuntiva le seconde.

Quanto alla prima censura, si osserva che il P. era rimasto in vita, lucido di mente, nelle due ore necessarie per l’arrivo dell’ambulanza, decedendo solo durante il trasporto. Il danno biologico consequenziale alla lesione mortale, come lesione della integrità fisica, riguarda un lasso di tempo troppo breve quantificabile, ancorché si debba ammettere che il relativo credito sia stato potenzialmente conseguito dalla parte lesa mentre era in vita. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata sul punto, nel senso di escluderne la risarcibilità, come danno reale, trasmissibile íure hereditatis (cfr:come incipit,Corte Costituzionale, sentenza 372/94, 2450/95, 4991/96, 1704/97, sino a Cassazione 2775/03, 8828/03, 14476/03, 517/06, tra le tante).

Quanto alla seconda censura invece, la giurisprudenza, anche di legittimità, è orientata nel riconoscimento del danno psichico, subito iure proprio dai congiunti, come effetto della perdita dello stretto congiunto (nella specie, il padre), sempre che siano stati forniti, anche in via presuntiva, idonei elementi di prova, in ordine all’influenza della perdita degli affetti e della figura paterna. Ma sul punto la censura non è né specifica né autosufficiente. La censura pertanto, per quanto articolata in due mezzi distinti, è per entrambi infondata.

Merita invece accoglimento il quarto motivo, che concerne la denegata pronuncia in merito al chiesto risarcimento del danno morale subito dal defunto, come danno terminale, avvertito da chi, in condizioni di lucidità mentale, attende soccorsi che ritardano e sente venir meno la propria vita.

Questa Corte in numerose sentenze ha considerato la particolare valenza del danno morale terminale o dello stesso danno biologico terminale sotto il profilo del danno psichico catastrofale.

In questa sede viene in esame solo l’aspetto del danno morale, che è presente nel danno da reato per omicidio colposo, come danno evento, il cui credito matura nel tempo stesso in cui è inferta la lesione mortale.

Conseguentemente ritiene questa Corte di dover aderire ai recenti arresti, costituiti dalle sentenze (Cassazione 11003/03, 3414/03, 11601/05;15760/06), che considerano la autonomia ontologica di tale danno, come lesione della integrità morale della persona, con la stessa valenza costituzionale di inviolabilità, onde la doverosítà dì una adeguata considerazione ai fini del riconoscimento della posta risarcitoria non patrimoniale e della sua trasmissibilità jure hereditatis.

L’accoglimento del motivo determina cassazione con rinvio ed il giudice si atterrà alle indicazioni enunciate negli arresti citati, nella valutazione equitativa, in concreto dell’entità del danno in relazione alla gravità delle lesioni, alle circostanze relative alla lucida attesa della morte, per valutarne in via equitativa la consistenza, onde trasmettere il credito agli eredi.

Resta assorbito il quinto motivo sulla compensazione delle spese in primo grado, dovendo il giudice del rinvio provvedere in ordine a tutte le spese dei vari gradi del giudizio sulla base del principio della soccombenza sostanziale.

L’accoglimento del ricorso, nei limiti e secondo i principi sopraenunciati, determina la cassazione con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il quarto motivo del ricorso, assorbito il secondo ed il quinto, rigetta il terzo,cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.

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C’è poi il danno da morte iure hereditatis, che consiste nel danno subìto dalla vittima e che, dal momento che la vittima non è più in vita, può essere ereditato dai familiari o dagli aventi diritto. C’è infine anche il danno esistenziale, che non deve essere trascurato quando si giunge a dover stabilire il risarcimento per l’incidente stradale che è risultato mortale.   DA COSA DIPENDE LA QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO? uno dei quali è l’età della persona che viene a mancare. Ci sono, però, anche altri elementi che incidono, ad esempio la morte di un figlio unico e la morte del figlio di una coppia che non può averne altri. INCIDENTE MORTALE LE TIPOLOGIE DEL DANNO: danni morali per la reale sofferenza e il turbamento derivanti dalla morte del congiunto. Questi sono riconosciuti solo se previsto dalla legge e solo per coloro che sono legittimati danni patrimoniali che comprendono sia le spese funerarie che il mancato apporto economico del defunto al bilancio famigliare danno da morte per il danno biologico e morale subito dal defunto e trasmissibile agli eredi per tutta la durata del tempo che va dall’incidente dalla morte.    Tale danno comprende le spese mediche ospedaliere, il trasporto, gli esami specialistici etc… danno da perdita della vita quale bene supremo dell’individuo e diritto assoluto e inviolabile danno esistenziale Ed infatti le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 15350 del 2015 emessa in sede istituzionale di risoluzione di contrasto, dopo aver esaminato tutte le questioni rappresentate in ricorso, hanno affermato il seguente principio di diritto: “In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicche’, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilita’ “iure hereditatis” di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilita’ di uno spazio di vita brevissimo”. A questo principio, risalente a costante orientamento di legittimita’ – ribadito anche nella sentenza a Sezioni Unite del 2008 n. 26972 – non in contrasto con la Costituzione (Corte Costit. n. 372 del 1994), si e’ conformata la sentenza impugnata, e pertanto il ricorso va rigettato.     La legge italiana prevede degli specifici risarcimenti del danno per la venuta meno di un parente a causa di un incidente. Come più volte notato dalla Corte di Cassazione italiana, ogni persona ha diritto a una vita privata e familiare, alla cura e al supporto dei genitori. Anche la Costituzione italiana garantisce la piena tutela dei diritti fondamentali di cui agli articoli 2, 29, 30 e 31, segnatamente l’integrità morale, il matrimonio, la solidarietà e le relazioni familiari. Pertanto, ogni membro della famiglia ha diritto ad un equo compenso per la perdita del rapporto familiare, a seconda del grado di parentela, dell’età della vittima e del parente, della composizione della famiglia, della convivenza, delle singole personalità , della loro capacità di reagire al trauma e da qualsiasi altra circostanza del caso. Se danno biologico della vittima (la perdita della vita) sarà riconosciuto ai membri della famiglia solo a determinate condizioni e in base al diritto ereditario, il danno alla perdita della relazione familiare è un diritto personale di ogni prossimo congiunto.

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Nelle tabelle del Tribunale di Milano, tabelle alle quali solitamente si fa riferimento in tutta Italia. Sono dunque previsti dei risarcimenti in base al grado di parentela e all’età della vittima e dei parenti.  Secondo la giurisprudenza viene riconosciuto a titolo di danno morale agli eredi il risarcimento del c.d. danno “catastrofale” – ossia del danno conseguente alla sofferenza patita dalla persona che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita. Per vedere riconosciuto anche questo danno, è necessario la prova della sussistenza di uno stato di coscienza della persona nel breve intervallo tra il sinistro e la morte.   Avvocato per vittime della strada a Bologna Ravenna Imola Forli Cesena Rimini L’savvocato Sergio Armaroli e consulenti, specializzati nella infortunistica stradale e nella cura dei relativi risarcimenti, con particolare riferimento agli incidenti stradali con esiti mortali e dai quali siano esitate lesioni gravi, assistono i familiari e le vittime della strada su tutto il territorio italiano, garantendo un intervento tempestivo La materia del risarcimento danni è in continua evoluzione e le compagnie assicurative, oggigiorno tendono ad effettuare una stima inferiore ai danni subiti, con lo scopo di liquidare il minimo al danneggiato.   Visti i numerosi cambiamenti della legislazione in caso di danni a seguito di incidenti, al giorno d’oggi diventa sempre più indispensabile affidarsi ad un avvocato esperto in risarcimento danni ed infortunistica.       Garantisce altresì l’assistenza in giudizio, in sede civile e penale, in tal caso attraverso le costituzioni di parte civile nei procedimenti penali per i reati di omicidio stradale, lesioni stradali,.     La lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risarcimento, neppure sotto il profilo del danno biologico, a favore del soggetto che è morto, essendo inconcepibile l’acquisizione in capo a lui di un diritto che deriva dal fatto stesso della morte; In considerazione della natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolatoria del risarcimento del danno civile, ai congiunti spetta il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta. Sicché’, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “iure hereditatis” di tale pregiudizio, in dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene.

Diverso il caso in cui il  vittima è sopravvisssuta per un lasso di tempo sufficiente a patire le sofferenze derivanti dal sinistro. In questo caso il credito per danno è entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte, e pertanto è suscettibile di essere trasmesso agli eredi.

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Come già stabilito dalle Sezioni Unite della  Corte, infatti, la morte del danneggiato pone fine ipso facto all’esistenza d’un danno permanente alla persona. Ne consegue che, prima della morte, colui il quale in conseguenza d’un fatto illecito sappia di avere una speranza di vita ridotta, patisce un danno (c.d. da formido mortis) non patrimoniale da accertare e liquidare con gli ordinari criteri equitativi (se ne dirà meglio tra breve); post mortem, invece, con la scomparsa del danneggiato svanisce la pensabilità stessa di ulteriori pregiudizi da quest’ultimo patiti. I congiunti d’una persona defunta non possono quindi invocare jure hereditario il risarcimento del danno da “perdita dell’aspettativa di vita” patito dal loro dante causa al momento della morte, per le medesime ragioni per le quali non potrebbero invocare il risarcimento del danno da “lesione del diritto alla vita” del defunto e già ampiamente indicate dalle Sezioni Unite di questa Corte, alle cui motivazioni in questa sede può farsi rinvio (Sez. U, Sentenza n. 15350 del 22/07/2015, Rv. 635985 – 01). Nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni, invece, si ritiene che non possa essere invocato un diritto al risarcimento dei danno iure hereditatis. Tale orientamento risalente (Cass. sez. un. 22 dicembre 1925, n. 3475: “se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un subbietto di diritto”) ha trovato autorevole conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994 e, come rilevato, anche nella più recente sentenza delle sezioni unite n. 26972 del 2008 (che ne ha tratto la conseguenza dell’impossibilità di una rimeditazione della soluzione condivisa) e si è mantenuto costante nella giurisprudenza di questa Corte (tra le più recenti, successivamente alla citata sentenza della Corte costituzionale: Cass. n. 11169 del 1994, n. 10628 del 1995, n. 12299 del 1995, n. 4991 del 1996, n. 3592 del 1997, n. 1704 del 1997, n. 9470 del 1997, n. 11439 del 1997, n. 5136 del 1998, n. 6408 del 1998, n. 12083 del 1998, n. 491 del 1999, n. 1633 del 2000, n. 2134 del 2000, n. 4729 del 2001, 4783 del 2001, n. 887 del 2002, n. 7632 del 2003, n. 9620 del 2003, n. 517 del 2006, n. 3760 del 2007, n. 12253 del 2007, n. 26972 del 2008, n. 15706 del 2010, n. 6754 del 2011, n. 2654 del 2012, n. 12236 del 2012, n. 17320 del 2012). A tale risalente e costante orientamento le sezioni unite intendono dare continuità non essendo state dedotte ragioni convincenti che ne giustifichino il superamento. Certamente tali ragioni non sono state neppure articolate con la sentenza n. 15760 del 2006(pronunciata su ricorso avente ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni da morte di congiunto avanzata iure proprio) che, con affermazione avente dichiarata natura di obiter “sistematico”, si è limitata ad auspicare che, in conformità con orientamenti dottrinari italiani ed Europei, sia riconosciuto quale momento costitutivo del credito risarcitorio quello della lesione, indipendentemente dall’intervallo di tempo con l’evento morte causalmente collegato alla lesione stessa. Ma anche l’ampia motivazione della sentenza n. 1361 del 2014, che ha effettuato un consapevole revirement, dando luogo al contrasto in relazione al quale è stato chiesto l’intervento di queste sezioni unite, non contiene argomentazioni decisive per superare l’orientamento tradizionale, che, d’altra parte, risulta essere conforme agli orientamenti della giurisprudenza Europea con la sola eccezione di quella portoghese. La premessa del predetto orientamento, peraltro non sempre esplicitata, sta nell’ormai compiuto superamento della prospettiva originaria secondo la quale il cuore del sistema della responsabilità civile era legato a un profilo di natura soggettiva e psicologica, che ha riguardo all’agire dell’autore dell’illecito e vede nel risarcimento una forma di sanzione analoga a quella penale, con funzione deterrente (sistema sintetizzato dal principio affermato dalla dottrina tedesca “nessuna responsabilità senza colpa” e corrispondente alle codificazioni ottocentesche per giungere alle stesse impostazioni teoriche poste a base del codice del ’42). L’attuale impostazione, sia dottrinaria che giurisprudenziale, (che nelle sue manifestazioni più avanzate concepisce l’area della responsabilità civile come sistema di responsabilità sempre più spesso oggettiva, diretto a realizzare una tecnica di allocazione dei danni secondo i principi della teoria dell’analisi economica del diritto) evidenzia come risulti primaria l’esigenza (oltre che consolatoria) di riparazione (e redistribuzione tra i consociati, in attuazione del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.) dei pregiudizi delle vittime di atti illeciti, con la conseguenza che il momento centrale del sistema è rappresentato dal danno, inteso come “perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridica soggettiva ” (Corte cost. n. 372 del 1994). Nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico “vita” che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente (Cass. n. 1633 del 2000; n. 7632 del 2003; n. 12253 del 2007). La morte, quindi, non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene “salute”, pregiudicato dalla lesione dalla quale sia derivata la morte, diverse essendo, ovviamente, le perdite di natura patrimoniale o non patrimoniale che dalla morte possono derivare ai congiunti della vittima, in quanto tali e non in quanto eredi (Corte cost. n. 372 del 1994; Cass. n. 4991 del 1996; n. 1704 del 1997; n. 3592 del 1997; n. 5136 del 1998; n. 6404 del 1998; n. 12083 del 1998, n. 491 del 1999, n. 2134 del 2000; n. 517 del 2006, n. 6946 del 2007, n. 12253 del 2007). E poichè una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l’irrisarcibilità deriva (non dalla natura personalissima del diritto leso, come ritenuto da Cass. n. 6938 del 1998, poichè, come esattamente rilevato dalla sentenza n. 4991 del 1996, ciò di cui si discute è il credito risarcitorio, certamente trasmissibile, ma) dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (Cass. n. 4991 del 1996). E’ questo l’argomento che la dottrina definisce “epicureo”, in quanto riecheggia le affermazioni di Epicuro contenute nella Lettera sulla felicità a Meneceo (“Quindi il più temibile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perchè quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo più noi. La morte quindi è nulla, per i vivi come per i morti: perchè per i vivi essa non c’è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci”) e che compare nella già indicata sentenza delle sezioni unite n. 3475 del 1925 ed è condiviso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994, – che ha escluso la contrarietà a Costituzione dell’interpretazione degli articoli 2043 e 2059 c.c. secondo cui non sono risarcibili iure hereditatis i danni derivanti dalla violazione del diritto alla vita, potendo giustificarsi, sulla base del sistema della responsabilità civile, solo le perdite derivanti dalla violazione del diritto alla salute che si verificano a causa delle lesioni, nel periodo intercorrente tra le stesse e la morte – e dalla costante giurisprudenza successiva di questa Corte. 3.3. La negazione di un credito risarcitorio della vittima, trasmissibile agli eredi, per la perdita della vita, seguita immediatamente o a brevissima distanza di tempo dalle lesioni subite, è stata ritenuta contrastante con la coscienza sociale alla quale rimorderebbe che la lesione del diritto primario alla vita fosse priva di conseguenze sul piano civilistico (Cass. n. 1361 del 2014), anche perchè, secondo un’autorevole dottrina, se la vita è oggetto di un diritto che appartiene al suo titolare, nel momento in cui viene distrutta, viene in considerazione solo come bene meritevole di tutela nell’interesse dell’intersa collettività. Ora, in disparte che la corrispondenza a un’indistinta e difficilmente individuabile coscienza sociale, se può avere rilievo sul piano assiologico e delle modifiche normative, più o meno auspicabili, secondo le diverse opzioni culturali, non è criterio che possa legittimamente guidare l’attività dell’interprete del diritto positivo, deve rilevarsi che, secondo l’orientamento che queste sezioni unite intendono confermare, la morte provoca una perdita, di natura patrimoniale e non patrimoniale, ai congiunti che di tal perdita sono risarciti, mentre non si comprende la ragione per la quale la coscienza sociale sarebbe soddisfatta solo se tale risarcimento, oltre che ai congiunti (per tali intendendo tutti i soggetti che, secondo gli orientamenti giurisprudenziali attuali, abbiano relazioni di tipo familiare giuridicamente rilevanti, con la vittima) per le perdite proprie, fosse corrisposto anche agli eredi (e in ultima analisi allo Stato). Come è stato osservato (Cass. n. 6754 del 2011), infatti, pretendere che la tutela risarcitoria “sia data anche al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai congiunti”. Coglie il vero, peraltro, il rilievo secondo cui oltre che oggetto di un diritto del titolare, insuscettibile di tutela per il venir meno del soggetto nel momento stesso in cui sorgerebbe il credito risarcitorio, la vita è bene meritevole di tutela nell’interesse della intera collettività, ma tale rilievo giustifica e anzi impone, come è ovvio, che sia prevista la sanzione penale, la cui funzione peculiare è appunto quella di soddisfare esigenze punitive e di prevenzione generale della collettività nel suo complesso, senza escludere il diritto ex art. 185 c.p., comma 2, al risarcimento dei danni in favore dei soggetti direttamente lesi dal reato, ma non impone necessariamente anche il riconoscimento della tutela risarcitoria di un interesse che forse sarebbe più appropriato definire generale o pubblico, piuttosto che collettivo, per l’evidente difficoltà, tutt’ora esistente per quanto riguarda la tutela giurisdizionale amministrativa, di individuare e circoscrivere l’ambito della “collettività” legittimate a invocare la tutela. Ulteriore rilievo, frequente in dottrina, è che sarebbe contraddittorio concedere onerosi risarcimenti dei danni derivanti da lesioni gravissime e negarli del tutto nel caso di illecita privazione della vita, con ciò contraddicendo sia il principio della necessaria integralità del risarcimento che la funzione deterrente che dovrebbe essere riconosciuta al sistema della responsabilità civile e che dovrebbe portare a introdurre anche nel nostro ordinamento la categoria dei danni punitivi. L’argomento (“è più conveniente uccidere che ferire”), di indubbia efficacia retorica, è in realtà solo suggestivo, perchè non corrisponde al vero che, ferma la rilevantissima diversa entità delle sanzioni penali, dall’applicazione della disciplina vigente le conseguenze economiche dell’illecita privazione della vita siano in concreto meno onerose per l’autore dell’illecito di quelle che derivano dalle lesioni personali, essendo indimostrato che la sola esclusione del credito risarcitorio trasmissibile agli eredi, comporti necessariamente una liquidazione dei danni spettanti ai congiunti di entità inferiore. Peraltro è noto che secondo la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 132 del 1985, n. 369 del 1996, n. 148 del 1999) il principio dell’integrale risarcibilità di tutti i danni non ha copertura costituzionale ed è quindi compatibile con l’esclusione del credito risarcitorio conseguente alla stessa struttura della responsabilità civile dalla quale deriva che il danno risarcibile non può che consistere che in una perdita che richiede l’esistenza di un soggetto che tale perdita subisce. Del pari non appare imposta da alcuna norma o principio costituzionale un obbligo del legislatore di prevedere che la tutela penale sia necessariamente accompagnata da forme di risarcimento che prevedano la riparazione per equivalente di ogni perdita derivante da reato anche quando manchi un soggetto al quale la perdita sia riferibile. Da quanto già rilevato, inoltre, la progressiva autonomia della disciplina della responsabilità civile da quella penale ha comportato l’obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza (v., tra le tante, Cass. n. 1704 del 1997, n. 3592 del 1997, n. 491 del 1999, n. 12253 del 2007, n. 6754/2011) e l’affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria (oltre che consolatoria), tanto che si è ritenuto non delibabile, per contrarietà all’ordine pubblico interno, la sentenza statunitense di condanna al risarcimento dei danni “punitivi” (Cass. n. 1183 del 2007, n. 1781 del 2012), i quali si caratterizzano per un’ingiustificata sproporzione tra l’importo liquidato ed il danno effettivamente subito. 3.5. Pur non contestando il principio pacificamente seguito dalla giurisprudenza di questa Corte (in adesione a un’autorevole dottrina e in conformità con quanto affermato da Corte cost. n. 372 del 1994) secondo il quale i danni risarcibili sono solo quelli che consistono nelle perdite che sono conseguenza della lesione della situazione giuridica soggettiva e non quelli consistenti nell’evento lesivo, in sè considerato, si è affermato con la sentenza n. 1361 del 2014 che il credito risarcitorio del danno da perdita della vita si acquisirebbe istantaneamente al momento dell’evento lesivo che, salvo rare eccezioni, precede sempre cronologicamente la morte cerebrale, ponendosi come eccezione a tale principio della risarcibilità dei soli “danni conseguenza”. Ma, a parte che l’ipotizzata eccezione alla regola sarebbe di portata tale da vulnerare la stessa attendibilità del principio e, comunque, sarebbe difficilmente conciliabile con lo stesso sistema della responsabilità civile, fondato sulla necessità ai fini risarcitori del verificarsi di una perdita rapportabile a un soggetto, l’anticipazione del momento di nascita del credito risarcitorio al momento della lesione verrebbe a mettere nel nulla la distinzione tra il “bene salute” e il “bene vita” sulla quale concordano sia la prevalente dottrina che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Peraltro, se tale anticipazione fosse imposta dalla difficoltà di quantificazione del lasso di tempo intercorrente tra morte (da intendersi sempre processo mortale e non come evento istantaneo) e lesione, necessario a far sorgere nel patrimonio della vittima il credito risarcitorio, sarebbe facile osservare, da un lato, che da punto di vista giuridico è sempre necessario individuare un momento convenzionale di conclusione del processo mortale, come descritto dalla scienza medica, al quale legare la nascita del credito, e dall’altro, che l’individuazione dell’intervallo di tempo tra morte e lesione, rilevante ai fini del riconoscimento del credito risarcitorio, è operazione ermeneutica certamente delicata e che presenta margini di incertezza, ma del tutto conforme a quella che il giudice è costantemente impegnato ad operare quando è costretto a fare applicazione di concetti generali e astratti.   Il Supremo consesso ha infatti (ri)affermato che il bene giuridico “vita” costituisce un bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare ed é insuscettibile di essere reintegrato per equivalente. La morte, quindi, non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene “salute”, pregiudicato dalla lesione dalla quale sia derivata la morte. E, poiché una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessariamente rapportata ad un soggetto legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, la risarcibilità deriva (non dalla natura personalissima del diritto leso, ma) dall’assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza dl utilità di uno spazio di vita brevissimo. E’ quello che la dottrina definisce l’argomento “epicureo”, condiviso anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 372/1994, che ha escluso la contrarieta’ a Costituzione di questa interpretazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. In forza della quale non sono risarcibili iure hereditatis i danni derivanti dalla violazione del diritto alla vita potendo giustificarsi, sulla base del sistema della responsabilita’ civile, solo le perdite derivanti dalla violazione del diritto alla salute che si verificano a causa delle lesioni nel periodo intercorrente tra le stesse e la morte. 6.2. – La stessa Corte ha poi richiamato la giurisprudenza della Corte costituzionale (Corte Cost., n. 132/1985, n. 369/1996, n. 148/1999) la quale ha più volte ribadito che il principio dell’integrale risarcibilita’ di tutti i danni non ha copertura costituzionale ed è dunque compatibile con l’esclusione del credito risarcitorlo conseguente alla stessa struttura della responsabilità civile, dalla quale deriva che il danno risarcibile deve consistere in una perdita che richiede l’esistenza di un soggetto che tale perdita subisce. 6.3. – Da queste affermazione di principio questo Collegio non intende discostarsi, non ravvisando nella difesa del ricorrenti elementi di novità tali da indurre ad un ripensamento e, quindi, ad una nuova rimessione della questione alle Sezioni Unite, come previsto dall’ art. 374 c.p.c. , comma 3.

Originally posted 2019-12-20 11:12:23.