CAMIONISTA OMICIDIO COLPOSO CASSAZIONE
ANNULLA CONDANNA
REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampa
Con la sentenza n. 38 del 2 gennaio 2013 la Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputato, conducente di un mezzo pesante, condannato in primo e secondo grado per aver causato il decesso di un automobilista.
La dinamica dell’incidente era stata la seguente: il primo procedeva alla velocità di 37 chilometri orari contro i 30 consentiti in quel tratto di strada: inoltre, l’asfalto era bagnato, per cui la tempestiva frenata non aveva consentito di evitare l’impatto con l’auto, che veniva dal senso di marcia opposto
Il camionista è stato così condannato in base all’articolo 589 del Codice penale: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni”. Con pene che s’inaspriscono se il soggetto era in stato psicofisico alterato, ma non è questo il caso.
A fronte della prospettazione operata dal ricorrente, secondo la quale la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare il profilo soggettivo della colpa e in tale sede escludere la stessa per la altrimenti inevitabilità dell’evento, appare opportuno svolgere alcune puntualizzazioni; prendendo le mosse, tuttavia, dal secondo dei profili evidenziati nel ricorso, fondato sulla asserita abnormità del comportamento della vittima del sinistro.
4.2. Con riferimento al tema del nesso causale, è noto che per mitigare il rigore derivante dalla meccanica applicazione del principio generale contenuto nell’art. 41 c.p., comma 1, ovvero del principio per il quale vi è equivalenza nelle cause che possono individuarsi come produttive dell’evento, così identificate attraverso il noto procedimento che taluno chiama di “eliminazione mentale” (teoria della “condicio sine qua non”), il legislatore ha dato rilievo a cause sopravvenute dal carattere peculiare. Non può trattarsi di cause in grado di instaurare un processo causale del tutto autonomo da ogni altra pregressa, poichè se così fosse saremmo in presenza di una disposizione (quella dell’art. 41 c.p., comma 3) inutile, perchè all’esclusione della valenza giuridica delle diverse “cause” si perverrebbe già con l’applicazione del principio condizionalistico previsto dall’art. 41 c.p., comma 1.
L’attitudine eziologica di ciascuna causa è premessa della regola dell’equivalenza causale (altrimenti neppure si potrebbe parlare di “causa”).
Perchè possa ritenersi interrotto il nesso condizionalistico tra condotta del trasgressore ed evento è necessario che il fattore interferente assorba per intero il processo causale. E’ quanto si esprime comunemente con l’affermazione per la quale la condotta del trasgressore degrada, da causa, ad occasione dell’evento. E’ quanto si pretende con la richiesta del necessario carattere di eccezionalità della causa sopravvenuta (ma, secondo l’opinione preferibile, anche precedente o concomitante: art. 41 c.p., comma 3).
Deve pertanto trattarsi, secondo questo condivisibile orientamento, di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma “sufficiente” a determinare l’evento, secondo un’accezione di sufficienza che non può essere identificata nell’autonomia cui allude l’art. 41 c.p., comma 1 (sicchè fuorviante è il riferimento sovente operato al carattere, che si vorrebbe dover essere proprio della causa sufficiente, della “totale indipendenza dalla condotta dell’imputato”: Cass. Sez. 5, sent. n. 11954 del 26/01/2010, Palazzolo, Rv. 246549; Cass. Sez. 5, sent. n. 15220 del 26/01/2011, Trabeisi e altri, Rv. 249967).
4.3. Lo snodo essenziale del tema in esame sembra a tutt’oggi essere quello del reperimento di un’adeguata definizione di “causa sufficiente”, la quale va ricercata nella prospettiva propria del giudizio di attribuzione di responsabilità giuridica. Si tratta, detto altrimenti, del concetto “giuridico” di causa sufficiente.
Ciò posto, è più agevole comprendere che tale concetto non può e non deve essere colto alla luce di leggi fisiche, ma sulla base delle ragioni dell’imputazione giuridica. Viene perciò in rilievo, ad esempio per la teoria della causalità umana, il potere di signoria dell’uomo, in forza del quale si afferma che “può dunque essere oggettivamente attribuito all’agente quanto è da lui dominabile ma non ciò che fuoriesce da questa possibilità di controllo” (Cass. Sez. 4, sent. n. 9967 del 18/01/2010, P.G. e P.C. in proc. Otelli e altro, Rv. 246797). Fuori della possibilità di controllo viene ritenuto, secondo questa ricostruzione, “il fatto che ha una probabilità minima, insignificante di verificarsi: il fatto che si verifica soltanto in casi rarissimi… nei giudizi sulla causalità umana si considerano “propri” del soggetto tutti i fattori esterni che concorrono con la sua azione, esclusi quelli che hanno una probabilità minima, trascurabile di verificarsi; in altri termini esclusi i fattori che presentano un carattere di eccezionalità”.
4.4. Nel fare propria questa teoria la giurisprudenza di legittimità svolge un’utile precisazione. Per l’attribuzione del fatto sul piano oggettivo è necessario: a) che l’imputato con la sua condotta abbia posto in essere un fattore causale del risultato, vale a dire un fattore senza il quale il risultato medesimo nel caso concreto non si sarebbe avverato; b) che l’evento non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali. La causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità (o a procurane la sua interruzione, come altrimenti si dice) presuppone quindi l’esistenza di un percorso causale ricollegato all’azione (od omissione) dell’agente ma si pone rispetto a questo come addizione completamente atipica, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un fattore che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (Cass. Sez. 4, sent. n. 9967 del 18/01/2010, cit).
Tanto vale per il fattore interferente che abbia concorso nella determinazione di quel medesimo evento cui avrebbe condotto il percorso causale facente interamente capo all’agente/omittente, qualora non fosse intervenuto quell’ulteriore addizione causale.
Ma vale, secondo la prevalente giurisprudenza, anche nell’ipotesi in cui il fattore interferente, che si innesta nel decorso causale già innescato dalla condotta del trasgressore, aggrava l’evento che si sarebbe prodotto.
Anche in tali casi non risulta comunque reciso il nesso causale e la concorrenza causale di condotte di altri dal reo assume valore solo sul piano sanzionatorio.
La natura eccezionale ed imprevedibile del fatto sopravvenuto è però un tipico accertamento devoluto al giudice del merito che deve logicamente valutare il suo convincimento sul punto. Ciò è avvenuto nel caso in esame perchè, secondo i giudici di primo e di secondo grado, non può reputarsi causa totalmente autonoma ed imprevedibile il fatto di altro utente della strada che sia inosservante delle regole che disciplinano la circolazione stradale. Ciò che davvero rileva, come bene ha spiegato la Corte distrettuale, è che sono sempre prevedibili e tutt’altro che eccezionali le altrui imprudenza o negligenze anche gravi, “quale indubbiamente è da considerare l’invasione di carreggiata in curva ad opera del conducente proveniente da opposta direzione di marcia”. L’affermazione del giudice distrettuale è in linea con il principio di diritto posto da questa Corte: “In tema di responsabilità da sinistri stradali, l’utente della strada deve regolare la propria condotta in modo che essa non costituisca pericolo per la sicurezza di persone e cose, tenendo anche conto della possibilità di comportamenti irregolari altrui, sempre che questi ultimi non risultino assolutamente imprevedibili” (Cass. sez. 4, sent. n. 26131 del 3/6/2008, Garzotto, rv. 241004). Ne consegue la correttezza della valutazione della Corte di merito quanto alla sussistenza del nesso causale tra la violazione ascritta al M. e l’evento illecito, sotto il profilo della non interruzione del medesimo per effetto della condotta tenuta dal D..
5.1. Non egualmente immune da censure è la motivazione della sentenza impugnata, quanto al primo dei profili evidenziati dal ricorrente. La Corte di Appello ha ritenuto che il sinistro fosse evitabile attraverso il comportamento doveroso omesso; ma ciò ha fatto sulla base della sola individuazione della violazione della regola cautelare.
5.2. Il punto nodale non è, diversamente da quanto evidenziato dal ricorrente, nell’affermazione per la quale l’urto si sarebbe comunque verificato anche mantenendo la velocità di 30 km/h. Il giudice di seconde cure, infatti, non ha mancato di rilevare che, in realtà, il limite di velocità che il M. avrebbe dovuto osservare nella fattispecie era inferiore a quello, poichè il fondo stradale non garantiva una normale aderenza per essere viscido a causa della pioggia caduta. Conseguentemente è stata correttamente individuata la condotta negligente, imperita ed imprudente,nell’aver mantenuto una velocità non adeguata “alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo …, alle caratteristiche e alle condizionidella strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura”, necessarie ad evitare “ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione”, non avendo osservato la velocitàimposta dalle condizioni del fondo stradale, dalla massa del proprio veicolo, un autocarro, violando così il disposto dell’art. 141 C.d.S., comma 1, come correttamente rilevato dei giudici di merito.
Del tutto assertiva ed arbitraria è poi la tesi del ricorrente secondo la quale il limite di velocità vigente sul tratto stradalein considerazione aveva unicamente lo scopo di avvertire il conducente del veicolo dell’approssimarsi dell’intersezione con altra arteria di rilevanza provinciale. In realtà il limite di velocità in parola risulta imposto dall’elevata pericolosità della circolazione stradale in un tratto in cui si intersecano due importanti arterie e vuole imporre una condotta di guida che consenta l’attraversamento dell’intersecazione avendo il pieno controllo sia del mezzo che dell’area entro la quale ci si muove.
5.3. L’area concettuale e giuridica entro la quale si rinviene un vizio della motivazione è quella del giudizio in ordine alla “altrimenti evitabilità dell’evento.
Com’è noto, ai fini della responsabilità penale per reato colposo, non è sufficiente che risulti accertata la violazione di una regola cautelare, che essa si ponga in rapporto causale con l’evento prodottosi e che questo costituisca concretizzazione del rischio che la regola cautelare si prefigge di contrastare; è altresì necessario che l’evento risulti evitabile dalla condotta diligente che si è mancato di tenere.
Ad avviso della più parte degli autori e della giurisprudenza di legittimità, siffatta (in)evitabilità opera su due piani, quello della causalità materiale e quello della causalità della colpa.
Nell’ambito del primo, a seconda che si tratti di reato commissivo ovvero di reato omissivo, l’inevitabilità ha un’evidenza diversa.
Allorquando si ferisce una persona esplodendo al suo indirizzo un colpo d’arma da fuoco, credendolo il bersaglio della battuta di caccia, il tema causale è presto risolto sulla base delle leggi scientifiche che accreditano l’efficienza lesiva del colpo esploso, rispetto alla lesione prodotta alla vittima. Una più chiara funzione mostra di poter assolvere il concetto di inevitabilità (riferito all’evento) quando ci si trova in presenza di un’omissione. In tal caso, il giudizio che si è chiamati a formulare richiede necessariamente che ci si interroghi in ordine alla “altrimenti evitabilità” dell’evento: la condotta positiva che si sarebbe dovuta tenere avrebbe evitato l’evento? Come è stato osservato dalla dottrina, siffatto quesito deve trovare risposta ponendo in relazione dati effettuali concreti e determinati: da un lato la condotta così come si è realizzata, dall’altro l’evento storicamente dato. Ciò vale anche nel caso di reati commissivi mediante omissione, giacchè anche “l’antecedente virtuale, riflesso della condotta doverosa omessa, lo è in quanto deve essere necessariamente considerato come se fosse effettivamente accaduto”. Il giudizio causale risulta strutturato in forma di giudizio ex post a base totale ed è indifferente alla conoscenza che l’autore del fatto abbia delle leggi scientifiche di copertura che spiegano il determinismo nel caso concreto.
Per contro, nell’ambito del giudizio in ordine alla (in)evitabilità (che si indica anche come prevenibilità) dell’eventorichiesto dall’accertamento della colpa, la relazione è posta tra entità concettuali e non reali: “da un lato stanno infatti la regola cautelare che si assume applicabile e il genere di evento che quella regola mira a scongiurare; dall’altro l’eventocolto come esemplare appartenente ad una “famiglia” a sua volta compresa in un genere”.
E’ rilevante osservare che nell’accertamento della colpa si è inclini a ritenere che assuma un ruolo la conoscibilità delle regole cautelari secondo la diligenza dovuta dal modello di agente evocabile per il caso di cui trattasi; regole che quindi devono essere esistenti al momento della condotta (ovvero per l’intero arco temporale entro il quale poteva essere utilmente eseguito il tacere omesso). Il giudizio, in questo secondo ambito, è quindi a base parziale ed opera a partire da una prospettiva ex ante. In sostanza, ci si muove sul piano della rimproverabilità dell’autore per il fatto.
5.4. Fatte queste precisazioni, va rilevato come la Corte di Appello abbia esaurito l’indagine intorno alla valenza causale del comportamento alternativo lecito con l’evidenziazione della violazione della regola cautelare, individuata nell’obbligo di adeguare la velocità all’andamento del percorso stradale e alle condizioni del manto stradale. Afferma la Corte distrettuale: “appare intuitivo come la viscidità di quest’ultimo … avesse reso concretamente inadeguata quella soglia di velocità astrattamente prescritta, imponendone l’abbassamento entro un valore ben inferiore tanto più in corrispondenza di una curva ed in rapporto alle dimensioni nonchè al peso del veicolo condotto dall’imputato tali da renderne più problematiche le possibilità di frenata”. Pertanto, continua la Corte, quella trasgressione non ha consentito di praticare manovre di emergenza idonee a fronteggiare situazioni di pericolo originate dall’altrui prevedibile imprudenza o negligenza anche gravi.
L’arresto del procedimento teso all’accertamento del nesso causale in coincidenza con il rinvenimento della condottatrasgressiva non è conforme ai principi sopra ricordati. La Corte territoriale avrebbe dovuto procedere oltre, abbandonando la genericità del riferimento a “manovre di emergenza idonee a fronteggiare situazioni di pericolo originate dall’altrui prevedibile imprudenza o negligenza anche gravi” per verificare se, nelle condizioni concretamente realizzatesi, il mantenimento di una velocità minore (da definire con precisione) avrebbe effettivamente evitato l’impatto, in particolare tenuto conto dell’accertata frenata operata dal M. all’esito di una progressiva riduzione della velocità di marcia nell’approssimarsi all’intersezione, della velocità e della traiettoria descritta dall’autoveicolo una volta immessosi sulla (omissis), dei tempi di risposta del conducente del pesante automezzo, calcolati anche in relazione al momento in cui egli ebbe percezione della presenza del veicolo intenzionato a procedere lungo la (omissis).
Il tutto tenendo presente che “in tema di causalità nei reati colposi, l’agente risponde dell’evento provocato con la sua condotta colposa e non di un altro evento ipotizzato, anche se destinato a prodursi ugualmente, escludendosi la responsabilità soltanto per il caso in cui detto evento si sarebbe comunque verificato in relazione al medesimo processocausale, nei medesimi tempi e con la stessa gravità od intensità, poichè in tal caso dovrebbe ritenersi che l’eventoimputato all’agente non era evitabile” (Cass. Sez. 4, sent. n. 28782 del 09/06/2011, Cezza, Rv. 250713).
Originally posted 2018-03-10 10:33:44.