BANCAROTTA FRAUDOLENTA BOLOGNA

BANCAROTTA FRAUDOLENTA BOLOGNA

Bancarotta Fraudolenta Patrimoniale

La bancarotta fraudolenta patrimoniale cosa è cosa tutela?

 

 tutela la garanzia dei creditori costituita dal patrimonio dell’imprenditore individuale.

 

Quale è l’oggetto materiale delle condotte?

 

 è costituito dai beni dell’imprenditore dotati di valore economico, e dunque l’offesa si concretizza attraverso l’aggressione sul patrimonio del soggetto attivo,

 

La condotta incriminata consiste quindi nell’impedimento all’utilizzazione dei beni dell’impresa fallita in vista del soddisfacimento dei diritti dei creditori.

Reati fallimentari

Rientrano in tale contesto, tutte le diverse tipologie documentale, distrattiva, preferenziale di bancarotta propria – vale a dire commessa dal fallito -, impropria – ovvero commessa da soggetti diversi dal fallito – siano esse fraudolente oppure semplici. Previste dalla cosiddetta “Legge Fallimentare” (R.D. 267/42), fanno parte di tale ambito specialistico, le fattispecie di reato ex artt. 216 (bancarotta fraudolenta), 218 e 225 (ricorso abusivo al credito), 220 e 226 (denuncia di crediti inesistenti), 227 (reati commessi dall’institore), 229-230-231 (reati del curatore fallimentare) oltre a una serie di ulteriori “atipici” reati . Nel settore la norma fondamentale  è il Regio Decreto n. 267 del 16.03.1942,

da cui discende il reato principale è la bancarotta (semplice o fraudolenta).

Altri reati fallimentari di particolare rilevo sono il ricorso abusivo al credito, la denuncia di creditori inesistenti (fuori dall’ipotesi di bancarotta fraudolenta), l’omissione della dichiarazione dell’esistenza di altri beni da comprendere nell’inventario, l’inosservanza dell’obbligo di residenza e dell’obbligo di depositare, nelle ventiquattro ore dalla dichiarazione di fallimento, i bilanci e le scritture contabili.

ESAMINIAMO LA SENTENZA

 

All’udienza del 14 giugno 2019, la Corte d’appello, senza tener conto della comunicazione di rinuncia al mandato, nè della richiesta di rinvio dell’imputato, designava quale sostituto d’ufficio, ex art. 97 c.p.p., comma 4, l’avv. Lucia Suriano, prontamente reperita in udienza.

Ciò posto, lamenta che la designazione di ufficio di un sostituto, ai sensi dell’art. 97, comma 4, ha carattere episodico ed è consentita nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore di fiducia o di quello d’ufficio, che continua a mantenere la titolarità della difesa. La rinuncia al mandato difensivo, invece, avendo carattere definitivo, comporta l’obbligo per il giudice di nominare all’imputato un difensore d’ufficio ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 1, che ha il diritto di chiedere ed ottenere un congruo termine a difesa ai sensi dell’art. 108 c.p.p..

Premessa una diffusa ricostruzione della possibilità per le parti private di inoltrare comunicazioni e istanze mediante l’utilizzo di telefax o posta elettronica certificata, il ricorrente sostiene la ritualità della comunicazione della rinuncia al mandato, effettuata con modalità identiche a quella della nomina, e lamenta la violazione dell’art. 97 c.p.p., comma 1, con conseguente nullità della sentenza di appello.

Nel caso di specie, sostiene che il diritto di difesa dell’imputato sia stato compromesso dalla designazione dell’avv. Suriano, prontamente reperito in aula di udienza, quale sostituto d’ufficio, ai sensi dell’art. 97, comma 4, del difensore di fiducia, il quale aveva comunicato con largo anticipo la rinuncia al mandato difensivo; in tal modo il difensore ha svolto un mero simulacro di difesa limitandosi a riportarsi ai motivi di appello, non avendo potuto chiedere un termine a difesa, assolutamente necessario per studiare il voluminoso fascicolo processuale, leggere le motivazioni della sentenza di primo grado, i motivi di appello, discutere utilmente il processo.

va rilevato che le Sezioni Unite “Lucci” hanno affermato che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435).

Con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale, in relazione alla quale la Corte di Appello ha confermato l’affermazione di responsabilità, respingendo motivatamente la censura riguardante l’asserita assenza di dolo in considerazione del ruolo di mera “testa di legno”, il ricorso non ha invece proposto censure specifiche.

Prive di qualsivoglia pertinenza argomentativa risultano infine le deduzioni relative ad una riqualificazione nel reato di bancarotta semplice, del quale non ricorre alcun presupposto di tipicità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. RICCARDI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.F., nato a (OMISSIS);

G.A., nata a (OMISSIS);

D.S., nato a (OMISSIS);

GR.Ba., nato a (OMISSIS);

GA.El., nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 14/06/2019 della Corte di Appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE RICCARDI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Picardi Antonietta, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio al giudice civile limitatamente ai capi E ed M nei confronti di A. e G.’, l’inammissibilità del ricorso di D., il rigetto del ricorso di G., l’inammissibilità nel resto;

udito il difensore della parte civile, Avv. Guido Maffuccini, che ha depositato nota spese;

uditi i difensori, Avv. Dario Bolognesi (per A. e G.), Avv. Gianluca Serravalle (per D. e Ga.), Avv. Luigi Malomo (per Gr.), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Svolgimento del processo

  1. Con sentenza emessa il 14/06/2019 la Corte di Appello di Bologna – in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Forlì del 08/01/2013, che aveva affermato la responsabilità penale di A.F., G.A., D.S., Gr.Ba., Ga.El. e Ar.Mi., per una serie di reati, loro rispettivamente ascritti, di bancarotta fraudolenta, patrimoniale, documentale, preferenziale e impropria, usura, false comunicazioni sociali – ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A., G. e D. in ordine ai reati di bancarotta preferenziale, false comunicazioni sociali, usura, perchè estinti per prescrizione, ha assolto A. e G. dal concorso in bancarotta per distrazione delle somme oggetto del prestito usurario, perchè il fatto non sussiste, ha dichiarato D.A. responsabile ai soli effetti civili del reato di usura, ha rideterminato le pene detentive e le pene accessorie fallimentari nei confronti di D., Ga. e Gr., ed ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.

In particolare, il procedimento concerne gli atti e le operazioni che hanno preceduto il fallimento delle società del “Gruppo D.”, il cui dominus era, appunto, D.S., amministratore di fatto della galassia di società da lui gestite.

  1. e G. erano stati condannati dal Tribunale di Forlì:

– per il reato di usura aggravata (capo C, sottocapo b), per avere, in concorso con D.A. (assolto in primo grado, e condannato, ai soli effetti civili, in grado di appello), come corrispettivo di un prestito di denaro effettuato il 12/07/2004 nei confronti della Forlì Costruzioni s.r.l. dell’importo di Euro 220.000,00, preteso la restituzione della somma complessiva di Euro 303.500,00;

– per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione (capo E), per avere, in concorso con D.S., amministratore di fatto delle società dell’omonimo gruppo dichiarate fallite, e con Gr.Ba., legale rappresentante della Building & Service, distratto somme dal patrimonio delle società fallite, con particolare riferimento alle somme restituite del prestito di 220.000 Euro concesso da A., G. e D. alla Forlì Costruzioni.

D.S. era stato condannato per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e preferenziale, contestati al capo F. Gr.Ba. era stato condannato, in qualità di amministratore di diritto della Building & Service, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (distrazione di Euro 3.500,00), documentale e aggravamento del dissesto, contestati al capo G. Ga.El., moglie del D., era stata condannata, in qualità di ultima legale rappresentante del Gruppo D., per il reato di bancarotta fraudolenta documentale (capo P).

  1. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con un unico atto, il difensore di A.F. e G.A., Avv. Dario Bolognesi, che ha dedotto quattro motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge, per inosservanza dell’art. 578 c.p.p., e il vizio di motivazione in relazione al capo E. Evidenzia che il Tribunale di Forlì aveva condannato A. e G. al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita, oltre al pagamento di una provvisionale pari a 700.000 Euro, in relazione a due distinte ipotesi di bancarotta, per distrazione e preferenziale; la Corte di Appello ha assolto gli imputati dal delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva e ha dichiarato l’estinzione per prescrizione della bancarotta preferenziale, confermando la condanna al risarcimento del danno.

Ciò posto lamenta che la sentenza impugnata abbia completamente omesso di motivare l’affermazione della responsabilità civile in relazione al reato di bancarotta preferenziale dichiarato estinto per prescrizione, senza in alcun modo prendere in considerazione i motivi di appello proposti con riferimento alla contestata condotta di bancarotta.

2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, per inosservanza dell’art. 597 c.p.p., in relazione al reato di usura di cui al capo C, sottocapo B. Evidenzia al riguardo che il Tribunale di Forlì aveva condannato gli imputati per il reato di usura ai soli effetti penali, senza disporre nulla in ordine alle domande risarcitorie avanzate dalla parte civile, compresa la richiesta di una provvisionale pari alla somma di 83.500 Euro, corrispondente agli interessi usurari corrisposti; il Tribunale aveva infatti limitato la condanna al risarcimento al solo reato di bancarotta di cui al capo E. La parte civile costituita, la curatela del fallimento, non ha sul punto sollevato alcuna doglianza, sicchè si è formato il giudicato, essendo stata censurata soltanto l’assoluzione di D. con riferimento al delitto di usura, ed anche in sede di conclusione si è limitata a chiedere la conferma delle statuizioni civili del giudizio di primo grado.

Ciò posto, la Corte di Appello, nel dichiarare il reato di usura estinto per intervenuta prescrizione, ha tuttavia affermato “la responsabilità degli appellanti A. e G. ai soli fini civili” (p. 21), senza peraltro indicarlo nel dispositivo.

Ne consegue una violazione degli artt. 597 e 648 c.p.p., e chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza nella parte in cui ha affermato la responsabilità di effetti civili degli imputati con riferimento al reato di usura.

2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla condanna agli effetti civili per reato di usura, per avere in ogni caso la Corte territoriale omesso di motivare compiutamente in merito ai motivi di appello, con i quali si era contestata diffusamente e analiticamente la ricostruzione del consulente tecnico del P.M, dei flussi finanziari tra gli imputati da un lato e il gruppo D. dall’altro; inoltre, è stata comunque del tutto pretermessa la doglianza, proposta con i motivi aggiunti, concernente l’errata valutazione della chiamata in correità di D. per l’inversione dell’ordine logico seguito nel valutare prima l’attendibilità e successivamente la credibilità del dichiarante; sul punto la Corte territoriale ha omesso qualsivoglia motivazione.

Aggiunge al riguardo che la persona offesa e danneggiata dal reato di usura è D., il quale tuttavia non si è costituito parte civile nel presente processo, mentre la curatela riveste la qualifica di danneggiata nella misura in cui le somme utilizzate da D. per pagare i presunti interessi usurari sono state prelevate dal fallimento.

2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge in relazione alla confisca per equivalente del prezzo o del profitto del reato di usura che è stata disposta con la sentenza di condanna di primo grado, ed è stata confermata dalla sentenza impugnata nonostante la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione; la Corte territoriale avrebbe infatti dovuto revocare la confisca per equivalente disposta ai sensi dell’art. 644 c.p., comma 6.

  1. Ha proposto ricorso per cassazione, altresì, il difensore di D.S., Avv. Gianluca Serravalle, che ha dedotto un unico motivo di ricorso, qui enunciato, ai sensi dell’art. 173disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

Deduce la violazione di legge processuale in relazione agli artt. 97107 e 108 c.p.p. e la nullità assoluta della sentenza di appello: rappresenta al riguardo che il 7 giugno 2019, una settimana prima dell’udienza di discussione fissata il 14 giugno, l’Avv. Luca Donadio, difensore di fiducia dell’imputato, ha inviato a mezzo telefax presso la cancelleria udienze penali della Corte d’appello di Bologna la comunicazione di rinuncia al mandato difensivo; all’udienza del 14 giugno 2019 tuttavia D.S. non è stato assistito da un difensore nominato d’ufficio ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 1, bensì da un difensore immediatamente reperito in udienza, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, nonostante il 12 giugno l’imputato, reso edotto dall’avv. Donadio della rinuncia al mandato, avesse rappresentato alla Corte d’appello di essere rimasto privo del difensore di fiducia ed avesse chiesto il rinvio dell’udienza del 14 giugno onde consentirgli di nominare un nuovo avvocato di fiducia.

All’udienza del 14 giugno 2019, la Corte d’appello, senza tener conto della comunicazione di rinuncia al mandato, nè della richiesta di rinvio dell’imputato, designava quale sostituto d’ufficio, ex art. 97 c.p.p., comma 4, l’avv. Lucia Suriano, prontamente reperita in udienza.

Ciò posto, lamenta che la designazione di ufficio di un sostituto, ai sensi dell’art. 97, comma 4, ha carattere episodico ed è consentita nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore di fiducia o di quello d’ufficio, che continua a mantenere la titolarità della difesa. La rinuncia al mandato difensivo, invece, avendo carattere definitivo, comporta l’obbligo per il giudice di nominare all’imputato un difensore d’ufficio ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 1, che ha il diritto di chiedere ed ottenere un congruo termine a difesa ai sensi dell’art. 108 c.p.p..

Premessa una diffusa ricostruzione della possibilità per le parti private di inoltrare comunicazioni e istanze mediante l’utilizzo di telefax o posta elettronica certificata, il ricorrente sostiene la ritualità della comunicazione della rinuncia al mandato, effettuata con modalità identiche a quella della nomina, e lamenta la violazione dell’art. 97 c.p.p., comma 1, con conseguente nullità della sentenza di appello.

Nel caso di specie, sostiene che il diritto di difesa dell’imputato sia stato compromesso dalla designazione dell’avv. Suriano, prontamente reperito in aula di udienza, quale sostituto d’ufficio, ai sensi dell’art. 97, comma 4, del difensore di fiducia, il quale aveva comunicato con largo anticipo la rinuncia al mandato difensivo; in tal modo il difensore ha svolto un mero simulacro di difesa limitandosi a riportarsi ai motivi di appello, non avendo potuto chiedere un termine a difesa, assolutamente necessario per studiare il voluminoso fascicolo processuale, leggere le motivazioni della sentenza di primo grado, i motivi di appello, discutere utilmente il processo.

  1. Ha proposto ricorso per cassazione, altresì, il difensore di Ga.El., Avv. Gianluca Serravalle, che ha dedotto due motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

4.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo P. Lamenta in particolare che la Corte territoriale abbia reso una motivazione apparente, omettendo l’esame dei motivi di appello proposti, e dedicando all’imputata appena “due righi” del seguente tenore: “i motivi ripercorrono argomentazioni non dissimili da quelli avanzate dalla difesa del D. e del Gr. e valgono le considerazioni già svolte” (p. 23).

Tanto premesso, la motivazione risulta del tutto inappagante, omettendo di esprimersi sulle plurime questioni specificamente sollevate con i motivi di appello, e limitandosi a richiamare per relationem le argomentazioni spese per altri imputati, con posizioni processuali del tutto diverse rispetto alla Ga.: quest’ultima, infatti, risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale, in qualità di ultima legale rappresentante meramente formale del gruppo D..

Lamenta che sia stata richiamata, a proposito della “testa di legno” Gr., la giurisprudenza sulla responsabilità dell’amministratore, anche se solo formalmente investito dell’amministrazione della fallita, ma senza che la Corte territoriale abbia evidenziato condotto di sottrazione, distruzione e omessa tenuta delle scritture contabili, nè quali libri o scritture contabili siano state oggetto di tali condotte; neppure vi è traccia di motivazione sulla sussistenza del dolo specifico.

La tecnica di motivazione, mediante richiamo delle posizioni di altri imputati, risulta del tutto insufficiente, in quanto i motivi di gravame avanzati nell’interesse di Ga., concernenti la sussistenza della contestata bancarotta fraudolenta documentale, sono diversi rispetto a quelli proposti nell’interesse del D. con riferimento alla bancarotta patrimoniale, in relazione alla quale la sentenza impugnata ha evidenziato l’irrilevanza della conoscenza dello stato di dissesto; anche da un punto di vista soggettivo, mentre il D. era il dominus di tutte le società, Ga.El. era semplicemente l’amministratore formale di tale società.

Neppure pertinenti appaiono i richiami alla posizione di G.B. che, in qualità di legale rappresentante della Building & Service, risponde in concorso con il D. di più fatti di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale.

Ciò posto, lamenta che il punto non è tanto se Ga.El., nella sua qualità di amministratore formale, possa rispondere del reato di bancarotta fraudolenta documentale, bensì se la stessa avesse consapevolezza dello stato delle scritture.

Del resto, le scritture contabili risultavano aggiornate fino ad agosto 2006, e nessun’altra registrazione risultava annotata fino alla data del fallimento, del 23 marzo 2007; in assenza di alcun rilievo su un’eventuale ruolo, anche minimale, di cogestione e/o di interessamento delle società da parte di Ga.El., non è possibile affermare la responsabilità dell’imputata per la bancarotta documentale, considerando altresì che l’omessa annotazione di operazioni finanziarie personalmente effettuate dall’amministratore di fatto – la maggior parte delle quali in epoca anteriore all’assunzione formale della carica da parte della Ga. in data 19 agosto 2005 – non poteva essere conosciuta dalla stessa.

Ben più stringente doveva dunque essere la dimostrazione della consapevolezza della non corretta tenuta della contabilità e dell’occultamento di condotte distrattive posta in essere da altri e riconducibili ad altri. Mancherebbe dunque la consapevolezza di tali operazioni distrattive da parte della Ga., e la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, desunto dalla mera materialità delle condotte contestate, senza una dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza dello stato delle scritture.

4.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale abbia omesso di motivare in ordine allo specifico motivo di appello con cui era stata richiesta la riqualificazione del fatto nel meno grave reato di bancarotta semplice: sostiene al riguardo che la condotta omissiva del mancato aggiornamento dei libri e delle scritture contabili riguarda un arco temporale assai circoscritto, da agosto 2006 sino alla data di fallimento, 23 marzo 2007, senza tuttavia esplicitare quali operazioni si sarebbero dovute annotare, atteso che, tra l’altro, l’attività sociale era cessata proprio in considerazione dell’avvenuto fallimento in data 1 agosto 2006 delle altre società del gruppo.

Il dissesto doveva dunque essere conosciuto e oggetto di rappresentazione ai fini della configurabilità del dolo generico del reato mentre la sentenza non accenna minimamente alla consapevolezza del dissesto della società in capo alla G..

Lamenta che la sentenza impugnata sia completamente carente in relazione alla qualificazione giuridica del fatto in termini di bancarotta fraudolenta documentale e non semplice.

  1. Ha proposto ricorso per cassazione, infine, Gr.Ba., con atto dell’Avv. Monica Manera, che ha dedotto un unico motivo di ricorso, qui enunciato, ai sensi dell’art. 173disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

Premessa una diffusa ed astratta ricostruzione delle differenze tra le varie ipotesi dei reati di bancarotta, deduce il vizio di motivazione, sostenendo che non sia emersa la volontà del Gr. di sottrarre beni all’esecuzione concorsuale, mentre sarebbe emersa la figura dell’imputato quale imprenditore di lunga esperienza, coscienzioso, e con la volontà di ripianare la debitoria precedentemente contratta dal D.. Evidenzia che il Gr. ha amministrato la società per soli 7 mesi, nel corso dei quali ha cercato di portare a termine una radicale ristrutturazione aziendale, sia logistica che strutturale, e che gli si contestano operazioni ingiustificate per soli 3.500 Euro.

L’imputato è stato ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta di cui alla L. Fall.art. 223, comma 2, n. 2, per aver contribuito al fallimento della società attraverso il compimento di operazioni dolose: sostiene che alcuna utilizzazione diversa dai fini di impresa sia stata fatta del patrimonio societario, mentre è stato tentato un rilancio d’impresa, bloccato da una enorme debitoria accumulata dalla amministrazione D., tanto che il Gr. si determinò a cedere le quote al D.R., decadendo dalla carica di amministratore. Richiama al riguardo la possibilità di qualificare i fatti come bancarotta semplice, realizzata attraverso spese eccessive o attraverso operazioni economiche di pura sorte o manifestamente imprudenti, evidenziando la mancanza di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato, e la possibilità di individuare non già profili di dolo, bensì profili di colpa, anche con riferimento alla bancarotta documentale. Aggiunge che il Gr. non può aver distratto somme dalla società utilizzandole a fini personali, in quanto egli non gode di patrimoni privati di cospicua entità, nè ha condotto e conduce vita agiata; in ogni caso le condotte materiali contestate si limitano a pagamenti di somme di denaro in favore di terzi per soli 3.500 Euro.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso di D.S. è fondato.

Secondo il costante insegnamento di questa Corte, la rinuncia al mandato difensivo comporta l’obbligo per il giudice – a pena di nullità, salva l’insussistenza di alcun concreto pregiudizio per la difesa – di nominare all’imputato, che non abbia provveduto ad una nuova nomina fiduciaria, un difensore d’ufficio, in quanto l’eventuale designazione temporanea di un sostituto, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, avendo natura episodica, è consentita nei soli casi di impedimento transitorio del difensore di fiducia o di quello di ufficio (Sez. 1, n. 39570 del 12/09/2019, Perri, Rv. 276872; Sez. 1, n. 16958 del 23/02/2018 Esposito, Rv. 272603).

A garanzia del principio di continuità della difesa, che si riflette anche nel principio di effettività della stessa, l’intervento del sostituto del difensore ha natura episodica ed è quindi consentito nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore di fiducia o di quello di ufficio. Pertanto, quando l’impedimento del difensore ha carattere definitivo, come nel caso di rinunzia al mandato, se l’imputato non provvede alla nomina di un difensore di fiducia, il giudice ha l’obbligo di nominare un difensore d’ufficio, pena la sanzione di nullità assoluta ed insanabile nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza (Sez. 5, n. 13660 del 17/01/2011, Giaffreda, Rv. 250164; Sez. 4, n. 10215 del 13/01/2005, Fumagalli, Rv. 231603).

Del resto, secondo quanto chiarito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, la nomina, da parte del giudice, di un sostituto processuale del difensore di fiducia o del difensore d’ufficio, presuppone un regolare avviso ai titolari del diritto di difesa ed è consentita solo nelle ipotesi tassativamente elencate dall’art. 97 c.p.p., comma 4, (Sez. U, n. 24630 del 26/03/2015, Maritan, Rv. 263599).

Ciò posto, effettivamente risulta, dai verbali di udienza, che, nonostante la comunicazione della rinuncia al mandato trasmessa il 7 giugno 2019 dall’Avv. Luca Donadio, difensore di fiducia dell’imputato, la Corte d’appello di Bologna, all’udienza del 14 giugno 2019, non ha provveduto alla nomina di un difensore d’ufficio, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 1, del D.S., bensì soltanto alla designazione di un difensore immediatamente reperito in udienza, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4.

Secondo quanto già evidenziato, la designazione di ufficio di un sostituto, ai sensi dell’art. 97, comma 4, ha carattere episodico ed è consentita nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore di fiducia o di quello d’ufficio, che continua a mantenere la titolarità della difesa, e la rinuncia al mandato difensivo, invece, avendo carattere definitivo, comporta l’obbligo per il giudice di nominare all’imputato un difensore d’ufficio ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 1, che ha il diritto di chiedere ed ottenere un congruo termine a difesa ai sensi dell’art. 108 c.p.p..

Va al riguardo osservato che il principio secondo cui la rinuncia al mandato difensivo non comporta l’obbligo per il giudice di nominare all’imputato – che non abbia provveduto alla nomina di un difensore di fiducia – un difensore d’ufficio, in quanto il difensore rinunciante è onerato della difesa fino all’intervento di una nuova nomina, sicchè la mancata nomina del difensore d’ufficio, nella pendenza del termine per appellare la sentenza di primo grado, non comporta alcuna nullità, essendo il difensore di fiducia oltre che l’imputato – nella piena facoltà di proporre l’impugnazione fino all’intervento della nuova nomina (Sez. 5, n. 3094 del 19/11/2015, dep. 2016, Arnoldo, Rv. 266052), concerne il differente caso in cui penda ancora termine per l’impugnazione, e non è applicabile al caso in esame, in cui è necessario garantire l’effettività del diritto di difesa in udienza.

Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata nei confronti di D.S. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.

  1. I ricorsi di A.F. e G.A. sono parzialmente fondati.

2.1. Il primo motivo è fondato.

Il Tribunale di Forlì aveva condannato A. e G. al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita, oltre al pagamento di una provvisionale pari a 700.000 Euro, in relazione a due distinte ipotesi di bancarotta, per distrazione e preferenziale; la Corte di Appello, con la sentenza impugnata, ha assolto gli imputati dal delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva e ha dichiarato l’estinzione per prescrizione della bancarotta preferenziale, confermando la condanna al risarcimento del danno.

Ciò posto, è pacifico che, poichè, all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273), nel caso in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) senza motivare in ordine alla responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, l’eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’imputato impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell’art. 622 c.p.p. (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087).

Tanto premesso, la sentenza impugnata ha completamente omesso di motivare l’affermazione della responsabilità civile in relazione al reato di bancarotta preferenziale dichiarato estinto per prescrizione, senza in alcun modo prendere in considerazione i motivi di appello proposti con riferimento alla contestata condotta di bancarotta, limitandosi ad affermare che “per quanto riguarda l’ipotesi di bancarotta per distrazione contestata in relazione all’importo del mutuo usurario” al più il fatto poteva integrare un’ipotesi di bancarotta preferenziale, peraltro prescritta come le altre ipotesi contestate (p. 21 sentenza impugnata).

2.2. Il secondo motivo, concernente l’affermazione della responsabilità civile con riferimento al reato di usura, è altresì fondato.

Il Tribunale di Forlì aveva condannato gli imputati per il reato di usura ai soli effetti penali, senza disporre nulla in ordine alle domande risarcitorie avanzate dalla parte civile, compresa la richiesta di una provvisionale pari alla somma di 83.500 Euro, corrispondente agli interessi usurari corrisposti, e limitando la condanna al risarcimento al solo reato di bancarotta di cui al capo E, come si evince dal dispositivo della sentenza di primo grado (“condanna gli imputati condannati per il reato di bancarotta al risarcimento del danno”).

In assenza di impugnazione della parte civile costituita (la curatela del fallimento), che anche in sede di conclusioni si è limitata a chiedere la conferma delle statuizioni civili del giudizio di primo grado, la Corte di Appello, nel dichiarare il reato di usura estinto per intervenuta prescrizione, ha tuttavia affermato “la responsabilità degli appellanti A. e G. ai soli fini civili” (p. 21), senza peraltro indicarlo nel dispositivo.

Il terzo motivo è assorbito.

2.3. Il quarto motivo, concernente la confisca del profitto del reato di usura, è infondato.

Benchè il difensore abbia rinunciato al motivo in sede di discussione, la doglianza va scrutinata, in quanto è inefficace l’atto di rinuncia al ricorso per cassazione non sottoscritto dall’indagato, ma dal solo difensore non munito di procura speciale, in quanto la rinuncia, non costituendo espressione dell’esercizio del diritto di difesa, richiede la manifestazione inequivoca della volontà dell’interessato, espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale (Sez. 2, n. 5378 del 05/12/2014, dep. 2015, Preiti, Rv. 262276).

Con la sentenza di condanna di primo grado è stata disposta la “confisca per equivalente” di beni che costituiscono il prezzo o profitto del reato di usura ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui gli imputati abbiano la disponibilità per un importo pari ad Euro 83.500,00.

La confisca è stata confermata dalla sentenza impugnata, che ha nondimeno dichiarato l’estinzione del reato di usura per intervenuta prescrizione.

Il motivo con cui il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto revocare la confisca per equivalente disposta ai sensi dell’art. 644 c.p., comma 6, è infondato.

Premesso che si è al di fuori delle ipotesi di confisca speciale in relazione alle quali l’art. 578 bis c.p.p. consente la decisione ai soli fini della misura ablativa (Sez. 2, n. 19645 del 02/04/2021, Consentino, Rv. 28142102: “La disposizione di cui all’art. 578-bis c.p.p., introdotta dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, che ha disciplinato la possibilità di applicare, con una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, la confisca cd. allargata prevista dall’art. 240-bis c.p., estesa, dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, a tutte le ipotesi di confisca di cui all’art. 322-ter c.p., costituisce una norma di natura processuale, come tale soggetta al principio “tempus regit actum”, non introducendo nuovi casi di confisca, ma limitandosi a definire la cornice procedimentale entro cui può essere disposta la cd. ablazione senza condanna”; Sez. 2, n. 19645 del 02/04/2021, Consentino, Rv. 281421-01: “Si può procedere alla confisca in assenza di condanna (nella specie, per intervenuta estinzione del reato a seguito di prescrizione) anche quando sia “per equivalente”, sempre che rientri in una delle ipotesi previste dall’art. 322-ter c.p., giacchè il richiamo contenuto nell’art. 578-bis c.p.p. alla confisca di cui all’art. 322-ter c.p. non è limitato ai soli casi di confisca diretta di cui all’art. 322-ter, comma 1 medesimo (In motivazione, la Suprema Corte ha sottolineato che la natura solo “parzialmente sanzionatoria” della confisca di valore – in quanto connotata piuttosto da una funzione ripristinatoria diretta al riallineamento degli squilibri patrimoniali generati dall’illecito – non implica la sua attrazione nell’area della sanzione penale in senso stretto)”), va rilevato che le Sezioni Unite “Lucci” hanno affermato che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435).

Il principio affermato dalle Sezioni Unite non viene tuttavia in rilievo nella fattispecie, in quanto la confisca obbligatoria prevista dall’art. 644 c.p., comma 6, non ha carattere afflittivo o sanzionatorio, ma meramente ripristinatorio, avendo ad oggetto il profitto del reato, gli interessi usurari (“Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni e utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni”).

Peraltro, il dispositivo della sentenza di primo grado impropriamente definisce la misura “confisca per equivalente”, trattandosi di ablazione del profitto del reato di usura, consistente negli interessi usurari.

2.4. Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata, agli effetti civili, nei confronti di A.F. e G.A. con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello; i ricorsi vanno rigettati nel resto.

  1. Il ricorso di Ga.El. è inammissibile.

L’imputata, moglie di D.S., è stata condannata per il reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo P, in qualità di amministratore di diritto della Gruppo D. s.p.a..

Il ricorso lamenta che la Corte territoriale abbia reso una motivazione apparente, omettendo l’esame dei motivi di appello proposti, e dedicando all’imputata appena “due righi” del seguente tenore: “i motivi ripercorrono argomentazioni non dissimili da quelli avanzate dalla difesa del D. e del Gr. e valgono le considerazioni già svolte” (p. 23).

Tuttavia, con l’atto di appello erano stati censurati i profili dell’estensione del fallimento, l’insussistenza di una società di fatto, ed era stata dedotta l’assenza di una partecipazione attiva alla gestione del Gruppo D., rivestendo la Ga. un mero ruolo di “comodo”.

Doglianze ictu oculi generiche, sia intrinsecamente, sia per l’omesso concreto confronto argomentativo con la sentenza di primo grado.

Tale difetto di specificità è stato reiterato con il ricorso per cassazione, che si è limitato a riproporre i medesimi argomenti, senza tuttavia confrontarsi con la circostanza che la specificità della sentenza di appello impugnata è evidentemente proporzionale alla specificità dei motivi di impugnazione (Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811: “L’appello è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato”), e che Ga.El. è stata condannata per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, avendo assunto il ruolo di legale rappresentante della Gruppo D. nell’epoca immediatamente precedente alla declaratoria di fallimento.

Al riguardo, è pacifico che, in tema di bancarotta fraudolenta, con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture (Sez. 5, n. 54490 del 26/09/2018, C., Rv. 274166, secondo cui non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto); l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purchè sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi, Rv. 271754).

Ciò posto, il ricorso non ha dedotto doglianze specifiche idonee ad escludere la consapevolezza dello stato delle scritture, limitandosi, come già fatto con l’appello, ad una contestazione astratta ed assertiva.

Sicchè la sentenza impugnata, nonostante la motivazione stringata, non appare suscettibile di censura, in considerazione del difetto di specificità dei motivi di appello e, successivamente, dei motivi del ricorso per cassazione.

Del tutto astratta, e priva di aderenza con il ruolo assunto e con le condotte accertate (sottrazione di parte della contabilità e omessa tenuta successivamente all’agosto del 2006), è altresì la doglianza con cui si lamenta l’omessa riqualificazione dei fatti nel reato di bancarotta documentale semplice, non ricorrendo gli indici di una condotta meramente negligente.

  1. Il ricorso di G.B. è inammissibile per difetto di specificità.

Tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.

La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come intrinseca indeterminatezza delle doglianze, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, fondante, ai sensi dell’art. 591, comma 1 lett. c), l’inammissibilità (ex multis, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568).

Ciò posto, il ricorso è del tutto generico, diffondendosi per quasi metà dell’impugnazione in una diffusa ed astratta ricostruzione delle differenze tra le varie ipotesi dei reati di bancarotta, e concentrando poi le proprie doglianze sul reato di bancarotta impropria, che è stato dichiarato estinto per prescrizione.

Le altre doglianze concernono il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, che, oltre ad essere non consentite, sollecitando una rivalutazione del merito mediante una lettura alternativa degli elementi di fatto – l’asserita assenza di patrimoni ingenti e la modestia della somma distratta -, sono nuove, in quanto con l’atto di appello non erano state dedotte censure nei confronti delle condotte distrattive accertate (come evidenziato anche dalla sentenza impugnata, a p. 23), ma soltanto una generica doglianza in merito alla brevità del periodo in cui l’imputato aveva assunto il ruolo di amministratore di diritto della Building & Service s.r.l., e una richiesta di riduzione della pena.

Con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale, in relazione alla quale la Corte di Appello ha confermato l’affermazione di responsabilità, respingendo motivatamente la censura riguardante l’asserita assenza di dolo in considerazione del ruolo di mera “testa di legno”, il ricorso non ha invece proposto censure specifiche.

Prive di qualsivoglia pertinenza argomentativa risultano infine le deduzioni relative ad una riqualificazione nel reato di bancarotta semplice, del quale non ricorre alcun presupposto di tipicità.

  1. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di Ga.El. e G.B. consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00, nonchè alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

Va infine dichiarata inammissibile la richiesta di revoca del sequestro conservativo avanzata dal difensore della parte civile, trattandosi di istanza non valutabile da questa Corte, bensì dal giudice del merito.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.S. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.

Annulla la medesima sentenza, agli effetti civili, nei confronti di A.F. e G.A. con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello; rigetta i ricorsi nel resto.

Dichiara inammissibili i ricorsi di Ga.El. e G.B. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Condanna, inoltre, i ricorrenti Ga. e Gr. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021

Originally posted 2021-08-16 15:43:55.