AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA INTERCETTAZIONI TELEFONICHE UTILIZZO PROVA ACQUISIZIONE
AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA INTERCETTAZIONI TELEFONICHE UTILIZZO PROVA ACQUISIZIONE
AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA INTERCETTAZIONI TELEFONICHE UTILIZZO PROVA ACQUISIZIONE
- non sussistesse una connessione oggettiva, probatoria e finalistica e non si potesse parlare di medesimo procedimento, mentre le attività investigative svolte nel procedimento n. 1208/11 RGNR avevano consentito di rilevare l’esistenza di un’associazione per delinquere che coinvolgeva pubblici ufficiali, politici e imprenditori e che condizionava l’aggiudicazione di appalti nella provincia di Pistoia compiendo numerosi reati contro la pubblica amministrazione; le indagini consentivano di accertare, oltre ai reati fine dell’associazione (corruzione e turbata libertà degli incanti), una serie numerosa di altri reati contro la pubblica amministrazione (abuso di ufficio) o di reati di falso in atto pubblico e, con riferimento alle ipotesi di reato complessivamente emerse nell’ambito del procedimento n. 1208/11 RGNR, sono stati operati vari stralci legati ad esigenze investigative, o processuali; in ogni caso, i reati contestati ai capi B) e C) si pongono nel medesimo filone investigativo del procedimento nel cui ambito venivano disposte le intercettazioni telefoniche;
- -con il secondo motivo, il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui il G.u.p. non ha sancito l’utilizzabilità in relazione all’art. 270/1 c.p.p. delle intercettazioni disposte in altro procedimento, per il capo B) di imputazione, pur essendo contestato un delitto (art. 479 c.p.) per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; dalla lettura della sentenza sembra possa ricavarsi, in particolare, che a tale conclusione il decidente sia pervenuto ritenendo che, come sostenuto dalle difese, fosse erronea la contestazione del delitto di cui all’art. 479 c.p., in quanto i fatti contestati al capo B) avrebbero dovuto essere ricondotti all’ipotesi di cui all’art. 480 c.p., per la quale non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ma tale valutazione deve essere censurata per la totale mancanza di una motivazione, tanto da imporre all’interprete la necessità di effettuare una ricostruzione induttiva della presunta volontà del giudice; in ogni caso, correttamente per i fatti riportati nel capo B) era stato contestato il delitto di cui all’art. 479 c.p., in luogo di quello previsto dall’art. 480 c.p., atteso che non si contesta che l’autorizzazione sia falsa, ma si contesta il falso in relazione alle attestazioni contenute nell’atto autorizzativo ed effettuate dal pubblico ufficiale a seguito di una sua verifica; come indicato nel capo di imputazione, il falso, infatti, viene contestato in quanto il pubblico ufficiale, nel permesso del 15.5.2012, attestava che l’istanza era stata depositata in data 7.5.2012, con i documenti allegati, mentre tali documenti erano stati depositati solo in data 16.5.2012, nonché per il fatto che il pubblico ufficiale, pur dando atto di aver verificato la documentazione allegata, ha rilasciato il permesso per orari e giorni diversi da quelli risultanti dalla documentazione prodotta; sussiste, quindi, il delitto previsto dall’art. 479 c.p. (e non quello previsto dall’art. 480 c.p.), sicché il Gup avrebbe dovuto dichiarare utilizzabili le intercettazioni, in quanto, pur avendo (erroneamente) ritenuto trattarsi di un diverso procedimento e, pur ritenendo applicabile l’art. 270 c.p.p., in ogni caso il delitto ipotizzato (art. 479 c.p.) rientra tra quelli per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di reato e per i quali l’art. 270 e.p.p. prevede l’utilizzabilità delle intercettazioni effettuate in diverso procedimento penale;
- -con il terzo motivo, il vizio derivante dalla mancata considerazione di una prova decisiva, nonché l’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui il G.u.p. ha escluso l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per il capo di imputazione E); in particolare, il G.u.p. ha evidenziato che il fatto non avrebbe potuto essere ricondotto all’ipotesi del commercio di cui al comma 7 dell’art. 9 L. 376/2000, in assenza di una sia pure minima struttura/organizzazione, in applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, senza considerare che nel fascicolo di indagine erano presenti le trascrizioni di alcune conversazioni telefoniche (sia pure non collazionate o riepilogate in annotazione di polizia giudiziaria), attestanti in modo chiaro che non era la prima volta che il C. avanzava tali richieste al P. e, dunque, il carattere continuativo dell’attività, oltre a quella elementare organizzazione che consente di configurare il delitto in questione; in ogni caso, la circostanza che le conversazioni intercettate siano state lette ai conversanti per sollecitarne la memoria non produce alcun effetto invalidante sulle dichiarazioni rese, atteso che l’accennata lettura, non era finalizzata a dare la prova del fatto di reato, ma soltanto a sollecitare il ricordo degli interlocutori, i quali, nel riferire ciò che personalmente dissero o udirono, diventano fonte di sommarie informazioni testimoniali, disciplinate dall’art. 351 cod.proc. pen., che costituiscono autonomo mezzo di prova, legittimamente utilizzabile per la ricostruzione del fatto contestato (Sez. VI, 22/10/2013, n. 44896); nel caso di specie, nel verbale di sommarie informazioni rese da C.G. in data 30.1.2014 vengono lette al testimone conversazioni telefoniche (riportate nel verbale) e lo stesso conferma il contenuto delle telefonate, ne riconosce gli interlocutori e ne spiega il significato, sicché in tal modo il contenuto delle conversazioni, confermato e spiegato dal teste, diventa parte delle dichiarazioni del testimone e, quindi, in tal modo utilizzabile; dalle conversazioni lette al C. , già di per sé risulta la disponibilità del P. a procurare la sostanza dopante al predetto e la possibilità di avvalersi di altre persone (la moglie e altra persona di sesso maschile non identificata) per ottenere tali sostanze, come risulta evidente che non si tratti della prima volta in cui il C. chiede tali sostanze, né della prima volta in cui il P. tratta queste sostanze ed a nulla rileva, invece, il fatto che il C. abbia negato di aver acquistato le sostanze dal P. , circostanza che non era stata fatta oggetto specifico della imputazione
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- CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – SENTENZA 23 settembre 2015, n.38738 – Pres. Nappi – est. Pezzullo
- Ritenuto in fatto
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Con sentenza in data 30.9.2014 il G.U.P. del Tribunale di Pistoia dichiarava il non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., nei confronti di P.R. , in ordine al reato a lui ascritto al capo B), per non avere commesso il fatto ed ai reati a lui ascritti ai capi C) ed E) perché il fatto non sussiste, nonché nei confronti di D.C.V. per il reato a lui ascritto al capo B), perché il fatto non costituisce reato ed al reato di cui al capo C), perché il fatto non sussiste.
- 1.1. In particolare, al P. , dirigente della Sezione di P.G. dei Carabinieri della Procura della Repubblica di Pistoia e al D.C. , vice Prefetto della Prefettura di Pistoia, risultavano ascritti, in concorso, i reati di falso (capo B) e abuso d’ufficio (capo C) per il rilascio- stante il ritiro della patente, per guida in stato di ebbrezza- di un’autorizzazione temporanea alla guida a M.L. , benché non fosse stata ancora presentata la documentazione allegata e riguardasse giorni e orari di lavoro diversi da quelli in cui la medesima prestava attività lavorativa (in particolare, il primo quale fautore del rilascio dell’autorizzazione presso il D.C. in favore della M. , sua conoscente, ed il secondo quale emittente di tale autorizzazione); al solo P. , anche il reato di cui al capo E), per il delitto di cui all’art. 9, comma 7, legge 376/2000, perché commerciava efedrina cloridrato, sostanza dopante, in quanto farmaco ricompreso nelle classi di cui all’art. 2, comma 1, della medesima legge, attraverso canali diversi dalle farmacie e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente destinati alla utilizzazione sul paziente.
- 1.2. Il G.U.P., dopo aver, tra l’altro, rilevato che le intercettazioni poste a fondamento delle ipotesi di reato ascritte agli imputati erano state disposte ed eseguite nell’ambito di un procedimento formalmente diverso, e cioè quello iscritto al n. 1208/11 R.G., per cui era necessario, in primo luogo, risolvere la questione della utilizzabilità di dette intercettazioni, ai sensi dell’art. 270 c.p.p., anche alla luce della sentenza resa dalle S.U. della Suprema Corte n. 32697 del 2 giugno 2014, concludeva per l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni ritenute dall’Accusa rilevanti per la prova dei reati contestati ai capi B), C) ed E), atteso che i decreti autorizzativi alle intercettazioni erano stati emessi in quel procedimento per turbativa d’asta continuata in concorso, associazione a delinquere finalizzata alla commissione di tali reati, concussione e corruzione, sicché era da escludere che la vicenda del rilascio dell’autorizzazione all’uso della patente ex art. 218 C.d.S. (c.d. permesso di guida) a M.L. (capi B e C) da parte del D.C. avesse un qualche collegamento oggettivo o soggettivo con l’indagine relativa alla illecita ‘gestio’ degli appalti pubblici nel territorio pistoiese, in relazione alla quale erano state disposte le intercettazioni nell’ambito del procedimento n. 1208/11 e lo stesso doveva dirsi per il reato contestato al capo E), ove la diversità del procedimento risultava ancora più marcata ed evidente; con la conseguenza che, una volta eliminate dal processo le risultanze delle intercettazioni, al di là della qualificazione giuridica di alcuni fatti, quali ad es. il falso ex art. 479 c.p., che andava, invece, qualificato come falso ex art. 480 c.p., trattandosi di autorizzazione amministrativa, scaturiva che:
- – in merito al capo B), quanto al P. , cadeva ogni possibile riferimento/collegamento dell’atto in contestazione (autorizzazione Prot. Pat/Z544 a firma dell’imputato D.C. datata 15.5.2012), tenuto conto anche di quanto dichiarato il 6.7.2013 dalla funzionaria, E.A. , la quale, a specifica domanda se ricordasse dell’interessamento di qualcuno alla vicenda, ovvero se avesse ricevuto delle segnalazioni in merito al rilascio dell’autorizzazione a circolare della M.L. , rispondeva di non ricordare che vi fossero stati interventi da parte di persone per sollecitare tale provvedimento, sicché nei confronti del predetto andava emessa sentenza di non luogo a procedere; quanto al D.C. , pur risultando il fatto materiale allo stesso riferibile, tuttavia, espunti dal perimetro valutativo i risultati delle intercettazioni, gli elementi acquisiti non rendevano realisticamente sostenibile l’accusa di falso ideologico nei suoi confronti sulla base degli elementi acquisiti;
avvocato Bologna penale esperto
-in merito al capo C), al di là di ogni questione di utilizzabilità/inutilizzabilità delle intercettazioni o di valutazione di profili attinenti all’elemento soggettivo del reato (dolo intenzionale), emergeva l’insussistenza del fatto per entrambi gli imputati, con riferimento al reato di abuso di ufficio loro contestato per carenza di uno degli elementi oggettivi della fattispecie, non avendo il rilascio del citato permesso temporaneo di guida procurato alla M. un ingiusto vantaggio patrimoniale, vantaggio la cui valutazione in termini patrimoniali deve discendere direttamente dall’atto.
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Avverso la predetta sentenza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, con i quali lamenta:
-con il primo motivo, il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui il G.u.p. ha escluso l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per i capi di imputazione B) e C), ritenendo applicabile a tali reati l’art. 270 c.p.p., laddove tale norma non era invece applicabile, non trattandosi di un ‘diverso procedimento’, ma di un identico ed unico procedimento dal quale è stata stralciata la ‘notitiacriminis’ oggetto del presente giudizio, che altrimenti avrebbe potuto rimanere all’interno del n. 1208/11 RG ed essere unitariamente trattata; in particolare, il G.u.p., ha erroneamente ritenuto che per i reati contestati ai capi B) e C) non sussistesse una connessione oggettiva, probatoria e finalistica e non si potesse parlare di medesimo procedimento, mentre le attività investigative svolte nel procedimento n. 1208/11 RGNR avevano consentito di rilevare l’esistenza di un’associazione per delinquere che coinvolgeva pubblici ufficiali, politici e imprenditori e che condizionava l’aggiudicazione di appalti nella provincia di Pistoia compiendo numerosi reati contro la pubblica amministrazione; le indagini consentivano di accertare, oltre ai reati fine dell’associazione (corruzione e turbata libertà degli incanti), una serie numerosa di altri reati contro la pubblica amministrazione (abuso di ufficio) o di reati di falso in atto pubblico e, con riferimento alle ipotesi di reato complessivamente emerse nell’ambito del procedimento n. 1208/11 RGNR, sono stati operati vari stralci legati ad esigenze investigative, o processuali; in ogni caso, i reati contestati ai capi B) e C) si pongono nel medesimo filone investigativo del procedimento nel cui ambito venivano disposte le intercettazioni telefoniche;
-con il secondo motivo, il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui il G.u.p. non ha sancito l’utilizzabilità in relazione all’art. 270/1 c.p.p. delle intercettazioni disposte in altro procedimento, per il capo B) di imputazione, pur essendo contestato un delitto (art. 479 c.p.) per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; dalla lettura della sentenza sembra possa ricavarsi, in particolare, che a tale conclusione il decidente sia pervenuto ritenendo che, come sostenuto dalle difese, fosse erronea la contestazione del delitto di cui all’art. 479 c.p., in quanto i fatti contestati al capo B) avrebbero dovuto essere ricondotti all’ipotesi di cui all’art. 480 c.p., per la quale non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ma tale valutazione deve essere censurata per la totale mancanza di una motivazione, tanto da imporre all’interprete la necessità di effettuare una ricostruzione induttiva della presunta volontà del giudice; in ogni caso, correttamente per i fatti riportati nel capo B) era stato contestato il delitto di cui all’art. 479 c.p., in luogo di quello previsto dall’art. 480 c.p., atteso che non si contesta che l’autorizzazione sia falsa, ma si contesta il falso in relazione alle attestazioni contenute nell’atto autorizzativo ed effettuate dal pubblico ufficiale a seguito di una sua verifica; come indicato nel capo di imputazione, il falso, infatti, viene contestato in quanto il pubblico ufficiale, nel permesso del 15.5.2012, attestava che l’istanza era stata depositata in data 7.5.2012, con i documenti allegati, mentre tali documenti erano stati depositati solo in data 16.5.2012, nonché per il fatto che il pubblico ufficiale, pur dando atto di aver verificato la documentazione allegata, ha rilasciato il permesso per orari e giorni diversi da quelli risultanti dalla documentazione prodotta; sussiste, quindi, il delitto previsto dall’art. 479 c.p. (e non quello previsto dall’art. 480 c.p.), sicché il Gup avrebbe dovuto dichiarare utilizzabili le intercettazioni, in quanto, pur avendo (erroneamente) ritenuto trattarsi di un diverso procedimento e, pur ritenendo applicabile l’art. 270 c.p.p., in ogni caso il delitto ipotizzato (art. 479 c.p.) rientra tra quelli per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di reato e per i quali l’art. 270 e.p.p. prevede l’utilizzabilità delle intercettazioni effettuate in diverso procedimento penale;
-con il terzo motivo, il vizio derivante dalla mancata considerazione di una prova decisiva, nonché l’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui il G.u.p. ha escluso l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per il capo di imputazione E); in particolare, il G.u.p. ha evidenziato che il fatto non avrebbe potuto essere ricondotto all’ipotesi del commercio di cui al comma 7 dell’art. 9 L. 376/2000, in assenza di una sia pure minima struttura/organizzazione, in applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, senza considerare che nel fascicolo di indagine erano presenti le trascrizioni di alcune conversazioni telefoniche (sia pure non collazionate o riepilogate in annotazione di polizia giudiziaria), attestanti in modo chiaro che non era la prima volta che il C. avanzava tali richieste al P. e, dunque, il carattere continuativo dell’attività, oltre a quella elementare organizzazione che consente di configurare il delitto in questione; in ogni caso, la circostanza che le conversazioni intercettate siano state lette ai conversanti per sollecitarne la memoria non produce alcun effetto invalidante sulle dichiarazioni rese, atteso che l’accennata lettura, non era finalizzata a dare la prova del fatto di reato, ma soltanto a sollecitare il ricordo degli interlocutori, i quali, nel riferire ciò che personalmente dissero o udirono, diventano fonte di sommarie informazioni testimoniali, disciplinate dall’art. 351 cod.proc. pen., che costituiscono autonomo mezzo di prova, legittimamente utilizzabile per la ricostruzione del fatto contestato (Sez. VI, 22/10/2013, n. 44896); nel caso di specie, nel verbale di sommarie informazioni rese da C.G. in data 30.1.2014 vengono lette al testimone conversazioni telefoniche (riportate nel verbale) e lo stesso conferma il contenuto delle telefonate, ne riconosce gli interlocutori e ne spiega il significato, sicché in tal modo il contenuto delle conversazioni, confermato e spiegato dal teste, diventa parte delle dichiarazioni del testimone e, quindi, in tal modo utilizzabile; dalle conversazioni lette al C. , già di per sé risulta la disponibilità del P. a procurare la sostanza dopante al predetto e la possibilità di avvalersi di altre persone (la moglie e altra persona di sesso maschile non identificata) per ottenere tali sostanze, come risulta evidente che non si tratti della prima volta in cui il C. chiede tali sostanze, né della prima volta in cui il P. tratta queste sostanze ed a nulla rileva, invece, il fatto che il C. abbia negato di aver acquistato le sostanze dal P. , circostanza che non era stata fatta oggetto specifico della imputazione;
-con il quarto motivo di ricorso l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione nella parte in cui il G.u.p. ha escluso la sussistenza del delitto di abuso di ufficio, contestato al P. e al D.C. al capo C), per mancanza dell’ingiusto vantaggio patrimoniale nel rilascio del permesso temporaneo di guida alla M. , omettendo di considerare i più recenti orientamenti giurisprudenziali, secondo i quali il requisito del vantaggio patrimoniale sussiste non solo quando l’abuso sia volto a procurare beni materiali o altro, ma anche quando sia volto a creare un accrescimento della situazione giuridica soggettiva a favore di colui nel cui interesse l’atto è stato posto in essere; in base a tale prevalente orientamento, il rilascio illegittimo del permesso temporaneo di guida ha direttamente prodotto un ingiusto vantaggio patrimoniale alla beneficiaria avendo sicuramente cagionato un ‘accrescimento della sua situazione giuridica soggettiva’: in virtù di tale permesso, infatti, la M. : ha ottenuto nuovamente la disponibilità di un veicolo che gli era stato sequestrato, ha potuto continuare a svolgere regolarmente la sua attività lavorativa, ha potuto evitare di prendere altro veicolo a noleggio o di acquistare altro veicolo, ha potuto fruire di tale veicolo anche nei giorni (sabato e domenica) in cui, pur non prestando attività lavorativa, le era stato illegittimamente concesso di utilizzare il mezzo ed ha potuto evitare di spendere denaro per spostarsi utilizzando mezzi di trasporto pubblico;
-con il quinto motivo, la mancata considerazione di una prova decisiva ed il vizio di motivazione, nella parte in cui il G.u.p. ha escluso l’esistenza del dolo di falso in capo al D.C. ed ha emesso sentenza di non luogo a procedere, perché il fatto non costituisce reato per il capo B), atteso che il Gup, dopo aver escluso l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche relative a tale capo ed aver conseguentemente dichiarato il non luogo a procedere per il P. , per non aver commesso il fatto, ha ritenuto che i residui elementi di prova escludessero ‘la possibilità per l’accusa di provare in giudizio l’esistenza del dolo di falso in capo all’imputato D.C. e conseguentemente ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere nei suoi riguardi perché il fatto non costituisce reato; in particolare, ritiene il Giudice che la discrasia tra la data di emissione del provvedimento (15.5.2012) e la data di deposito (non contestata) della documentazione allegata all’istanza (16.5.2012) sia spiegabile in termine di mero errore nella data di rilascio del provvedimento; per sbaglio, cioè, in tale provvedimento sarebbe stata indicata la data del 15.5.2012, mentre in realtà esso sarebbe stato emesso in data 16.5.2012, dopo il deposito della documentazione da parte della M. e a tali conclusioni il Giudice giunge sulla scorta delle dichiarazioni ritenute ‘del tutto plausibili’ rese dalla teste E. , la quale, dinanzi alla rilevata differenza di date e non conoscendo lo svolgimento dei fatti, per come emergeva dalla intercettazioni telefoniche, ha dichiarato ‘non so spiegare questo errore’; in particolare, il Giudice richiama gli argomenti della difesa che, sul punto, sostengono che ‘per un mero errore materiale il permesso di guida reca una data sbagliata, essendo stato emesso non il 15, bensì lo stesso 16 maggio; la stessa E. neda implicita conferma nel rispondere a domanda diretta su tale discordanza’ e la spiegazione della differenza di date in termini di errore, oltre ad essere smentita dal contenuto delle intercettazioni ritenute (erroneamente) non utilizzabili, è manifestamente sconfessata dalla documentazione presente nel fascicolo di indagine e segnatamente dai documenti acquisiti, dai quali risulta che:- nell’istanza depositata il 7.5.2012 la M. scriveva espressamente di riservarsi di produrre documentazione attestante l’attività lavorativa;- nel provvedimento del 15.5.2012 D.C. attestava che l’istanza è stata presentata ‘documentata’, vale a dire con documenti allegati che, invece, sono stati depositati solo in data 16.5.2012;- in data 16.5.2012 all’atto del deposito dei documenti portati dalla M. , la E. non solo apponeva su di essi il timbro di deposito del 16.5.2012, ma redigeva anche un verbale (sottoscritto dalla E. e dalla M. ), ove si attestava che in data 16.5.2012 ‘viene notificata l’ordinanza prefettizia datata 15.5.2012’.
3.Il P. ed il D.C. , a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, hanno depositato memorie, con le quali, nel criticare specificamente ciascuno dei motivi di ricorso del P.M., hanno concluso per l’inammissibilità/reiezione del ricorso, riguardando, a dispetto della formale enunciazione di errori in diritto, censure di fatto e travisamenti.
Considerato in diritto
Il ricorso del P.M. è fondato limitatamente al quarto motivo di ricorso relativo al delitto di abuso di ufficio, mentre va respinto nel resto.
1.Non merita censura, innanzitutto, contrariamente a quanto dedotto con il primo motivo di ricorso dal P.M., la valutazione del G.u.p., che ha ritenuto l’inutilizzabilità, ai sensi del primo comma dell’art. 270 c.p.p., dei risultati delle intercettazioni poste a fondamento dei capi B),C) ed E), siccome disposte in un procedimento ‘diverso’ dal presente. La sentenza impugnata da atto che le intercettazioni sulle utenze in uso al P. sono state disposte nel proc. n. 1208/2011 dal quale sono state stralciate le imputazioni a carico del P. medesimo e del D.C. , oggetto del presente giudizio e che il procedimento n. 1208/11 era stato iscritto per i reati di cui agli artt. 110, 353 e 317 c.p., ai quali si erano aggiunte le ulteriori fattispecie di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti di turbata libertà degli incanti, di corruzione e concussione, in base al contenuto delle conversazioni riportate nella nota del 18.8.2011 della D.I.G.O.S. della Questura di Pistoia, riguardanti il responsabile della Sezione P.G. dei Carabinieri della Procura, P.R. , dalle quali emergeva che predetto manteneva strettissimi rapporti confidenziali con l’indagato R.G. , mettendosi a sua completa disposizione. Orbene, il G.u.p., nel ritenere inutilizzabili nel presente processo i risultati delle intercettazioni disposte nel procedimento n. 1208/2011, ha fatto corretta applicazione dei più recenti arresti di questa Corte, in merito al concetto di ‘procedimento diverso’, di cui al divieto contenuto primo comma dell’art. 270 c.p.p..
1.1.Va precisato, innanzitutto, che in tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento concernente uno dei reati di cui all’art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono utilizzabili anche per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento, sebbene per essi le intercettazioni non sarebbero state consentite, mentre nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso ‘ab origine’, l’utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall’art. 270 cod. proc. pen., e, cioè, l’indispensabilità e l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza (Sez. 6, n. 49745 del 04/10/2012, Rv. 254056; Sez. 6, n. 22276 del 05/04/2012 Rv. 252870). La giurisprudenza di questa Corte è giunta a tale conclusione sulla base del percorso logico, in base al quale sarebbe paradossale ritenere che l’art. 266 c.p.p. disciplini esclusivamente i casi in cui il singolo procedimento tratti uno solo, o più, dei reati che soli indica, laddove, l’art. 270 c.p.p., quando deve individuare i parametri per legittimare l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti, non richiama l’elencazione tassativa dell’art. 266 c.p.p., ma ne indica una nuova e diversa (l’indispensabilità per l’accertamento e che si proceda per delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza), certamente non sovrapponibile, né coincidente con la clausola generale di cui all’art. 266 c.p.p., comma 1, lett. a). Il legislatore, in particolare, nel porsi il problema della utilizzazione dei risultati di intercettazioni legittimamente disposte per uno dei reati indicati nell’art. 266 c.p.p., si è occupato esplicitamente solo del caso dell’utilizzazione extraprocedimento, riconoscendo in quel caso la possibilità di utilizzazione secondo parametri diversi da quelli indicati nell’art. 266 c.p.p., ma sarebbe paradossale ritenere che per i reati diversi da quelli ex art. 266, interni al medesimo procedimento, mai sarebbero utilizzabili gli esiti delle intercettazioni, addirittura neppure nei casi in cui essi lo sarebbero, invece, in un procedimento diverso (Sez. 6, n. 49745 del 04/10/2012, Rv. 254056).
1.2. L’indirizzo citato non si è soffermato specificamente sul concetto di ‘medesimo’ procedimento, per la delineazione del quale occorre tener conto dell’elaborazione più recente della giurisprudenza di questa Corte e segnatamente di quanto evidenziato nella motivazione della pronuncia delle S.U. di questa Corte, n. 32697 del 26/06/2014, secondo cui ‘è noto che la, prevalente e più recente, giurisprudenza di legittimità ha ancorato la nozione di procedimento diverso ad un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato, in quanto considera decisiva, ai fini della individuazione della identità dei procedimenti, l’esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, Pavigliariti, Rv. 246524; Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, Filippi, Rv. 254285; Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco, Rv. 257834; Sez. 2, n. 3253 del 10/10/2013, dep. 2014, Costa, Rv. 258591)’.
Con tale precisazione, le S.U. hanno inteso rimarcare che ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270 c.p.p., comma primo, il concetto di ‘diverso procedimento’ va collegato al dato della alterità, o non uguaglianza, del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notizia di reato che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell’ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento (Sez. 2, n. 49930 del 11/12/2012 – dep. 28/12/2012, Perri e altro, Rv. 253916).
Il procedimento rimane lo stesso quando tra il contenuto della originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico, mentre, al contrario, non sussistendo alcuno dei profili di connessione, il procedimento sarà ‘altro’ con la conseguenza che la provvista probatoria dovrà prescindere dalle conversazioni intercettate inutilizzabili e l’accertamento dei reati dovrà basarsi sui restanti elementi (Sez. 6, n. 46244 del 2012).
1.3. Ciò posto, emerge evidente come corretta si presenti la valutazione effettuata dal G.u.p., che ha escluso l’utilizzabilità delle conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione relative ai capi B), C) ed E), non avendo il procedimento n. 1208/2011, nell’ambito del quale sono state disposte, alcuna attinenza con la vicenda del rilascio dell’autorizzazione all’uso della patente ex art. 218 C.d.S. (c.d. permesso di guida) a M.L. (capi B e C) da parte del D.C. , né con il reato contestato al capo E) al solo P. . Dalla medesima illustrazione del primo motivo di ricorso del P.M. emerge evidente come non sussista una connessione oggettiva, probatoria e finalistica tra i reati in questione e quelli di cui al procedimento n. 1208/2011 (riguardanti associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti di turbata libertà degli incanti, di corruzione, concussione relativamente a tutte le gare di appalto per lavori pubblici nel comune di Pistoia e nella provincia). La circostanza dedotta dal P.M., poi, secondo cui le notizie di reato sono state acquisite nell’ambito del medesimo filone investigativo non si presenta significativa in sé, ai fini della individuazione della identità o diversità del procedimento, risultando, comunque, assorbente per la definizione di tali concetti, il ricorso ad un criterio di valutazione sostanzialistico e non formalistico, l’utilizzo del quale conduce, nella fattispecie in esame, alle conclusioni circa la diversità dei procedimenti,correttamente ritenuta dal G.u.p..
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Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso del P.M., con il quale viene censurata la declaratoria di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, ai sensi del primo comma dell’art. 270 c.p.p., in relazione al delitto di falso ideologico in atto pubblico di cui al capo B), trattandosi di ipotesi di reato per la quale è obbligatorio l’arresto e non potendo configurarsi la più lieve ipotesi di reato di cui all’art. 480 c.p., come pare aver implicitamente ritenuto il G.u.p. Ed invero, senza voler affrontare la tematica della configurabilità nella fattispecie dell’ipotesi di reato di cui all’art. 479 c.p., ovvero di quella di cui all’art. 480 c.p., appare sufficiente e decisivo, a dimostrazione della completa infondatezza del motivo in questione, evidenziare come per il delitto di cui all’art. 479 c.p., non è consentito l’arresto obbligatorio in flagranza, né ai sensi del primo comma dell’art. 380 c.p.p., in ragione dei limiti di pena edittali in tale norma contemplati (ai fini dell’arresto obbligatorio, i reati per i quali esso è consentito devono avere, infatti, la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni, laddove il reato di cui all’art. 479 c.p., nel richiamare, quanto alle pene, l’art. 476 c.p.p., contempla, anche a voler considerare l’ipotesi più grave di cui all’art. 476/2 c.p., la pena della reclusione da tre a dieci anni), né ai sensi del secondo comma, che impone l’arresto in flagranza, al di fuori dei limiti edittali di pena di cui al primo comma, per determinati reati, non essendo ricompreso il delitto di cui all’art. 479 c.p.p. nell’elencazione di tale norma.
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Infondato si presenta, altresì, il terzo motivo di ricorso, in merito alla contestazione di cui al capo E). Ed invero, anche con riguardo a tale imputazione vanno richiamate le valutazioni in tema di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni svolte al punto 1, sicché la dedotta mancata valutazione del G.u.p. del contenuto di alcune conversazioni trascritte contenute nel fascicolo di indagine, non esclude, comunque, l’inutilizzabilità anche di esse. Appare, pertanto, superfluo valutare in questa sede la ricorrenza o meno dei presupposti per la configurabilità del reato di cui al comma 7 dell’art. 9 L. 376/2000, ravvisabili, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’attività di intermediazione clandestina nella circolazione di sostanze dopanti, purché svolta in forma continuativa e con il supporto di una pur elementare organizzazione (Cassazione penale, sez. III, 23/10/2013, n. 46246). La deduzione del P.M., secondo la quale si ravviserebbero, comunque, nella fattispecie in esame i predetti presupposti enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, anche senza considerare il contenuto, inutilizzabile delle conversazioni oggetto di intercettazione, essendo state tali conversazioni lette al C. in sede di sommarie informazioni per sollecitarne la memoria, divenendo così fonte di sommarie informazioni testimoniali, disciplinate dall’art. 351 cod.proc. pen., potendo il medesimo risultato essere ottenuto con altro diverso mezzo di prova previsto dall’ordinamento (Sez. VI, 22/10/2013, n. 44896)- resta superata da quanto evidenziato nel provvedimento impugnato, secondo cui il C. ha negato decisamente ed a più riprese di avere mai ricevuto dette sostanze dall’imputato. Si presenta all’uopo connotata da vizio argomentativo l’affermazione contenuta in ricorso, secondo cui a nulla rileverebbe la negazione del C. , non avendo la cessione al predetto costituito oggetto specifico della imputazione, atteso che non si presenta logico ritenere, sulla base delle dichiarazioni del C. la sussistenza di una organizzazione, senza considerare, tuttavia, nel contempo, il dato che nessuna cessione è avvenuta da parte del P. in favore del predetto.
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Manifestamente infondato si presenta pure il quinto motivo di ricorso, circa la riferibilità al P. della condotta di falso di cui al capo B), sotto il versante dell’elemento soggettivo. Va subito detto che il P. M. sviluppa in proposito, pressocchè esclusivamente, censure in fatto, inammissibili in questa sede, atteso che il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere, ex art. 606, comma primo, lett. d) ed e) non può avere per oggetto gli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero, ma solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli e, quindi, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti dal P.M. (Sez. V, 13/02/2008, n. 14253).
In proposito occorre evidenziare come il G.u.p. abbia ritenuto decisive le dichiarazioni della teste E. , funzionaria della Prefettura di Pistoia- che ebbe a seguire e curare la procedura di sospensione della patente alla M. e di rilascio dell’autorizzazione provvisoria- secondo cui la discordanza tra la data del 15.5.2012, quale data di rilascio dell’autorizzazione, e la data del 16.5.2012, di integrazione dell’istanza di rilascio dell’autorizzazione e deposito della documentazione a supporto di essa, era da ascriversi ad un errore rinvenibile nel fatto di aver verosimilmente, lei stessa, aveva preparato il provvedimento e portato alla firma del D.C. , senza controllare che la data riportata nel provvedimento fosse antecedente a quella dell’integrazione dell’istanza presentata in data 16.5.2012 (cfr. dichiarazioni testualmente riportate nella sentenza impugnata).
In tale contesto correttamente il G.u.p. ha escluso la possibilità per l’accusa di provare in giudizio l’esistenza del dolo di falso in capo al D.C. , essendosi in buona sostanza la teste attribuita la paternità dell”errore’. Peraltro, gli elementi di fatto addotti dal P.M. in questa sede, che come detto non possono essere valutati in questa sede, neppure sotto il profilo logico paiono idonei a sconfessare la correttezza del percorso logico del G.u.p. nell’adozione dell’epilogo decisorio suddetto.
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Va accolto il quarto motivo di ricorso, in relazione al capo C), con il quale il P.M. lamenta l’erronea valutazione in diritto operata dal G.u.p., secondo cui-prescindendo dalla utilizzabilità o meno dei risultati delle intercettazioni -il rilascio dell’autorizzazione temporanea alla guida non avrebbe, comunque, prodotto un ingiusto vantaggio patrimoniale direttamente discendente dall’atto, determinando, dunque, l’insussistenza di un elemento del reato in contestazione. Il G.u.p., in proposito, come correttamente rilevato dal P.M., non pare aver tenuto conto dei più recenti principi affermati da questa Corte, secondo cui in tema di abuso d’ufficio, il requisito del vantaggio patrimoniale va riferito al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale e, pertanto, sussiste non solo quando l’abuso sia volto a procurare beni materiali, ma anche quando sia volto a creare un accrescimento della situazione giuridica soggettiva a favore di colui nel cui interesse l’atto è stato posto in essere (Sez. 6, n. 43302 del 27/10/2009, Rv. 244945;Sez. 6, n. 12370 del 30/01/2013 Rv. 256004).
La sentenza impugnata, sul punto, va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame, affinchè il Tribunale valuti se, in relazione ai principi appena richiamati, l’ottenimento del permesso provvisorio alla guida integri per la M. un vantaggio patrimoniale mediante un accrescimento, anche materiale, della situazione giuridica della beneficiaria, comportando, secondo quanto messo in risalto dal Pubblico Ministero, la disponibilità del veicolo che le era stato sequestrato, la possibilità di svolgere regolarmente la sua attività lavorativa, evitando di prendere altro veicolo a noleggio o di acquistare altro veicolo, fruendo di tale veicolo anche nei giorni (sabato e domenica) in cui, pur non prestando attività lavorativa, le era stato illegittimamente concesso di utilizzare il mezzo. All’esito di tale valutazione, ove positiva, il G.u.p. considererà se gli elementi acquisiti non escludano la possibilità di provare in giudizio il reato di cui al capo C), ascritto agli imputati.
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In definitiva, la sentenza impugnata va annullata limitatamente al delitto di abuso di ufficio con rinvio al Tribunale di Pistoia per nuovo esame; il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente al delitto di abuso di ufficio con rinvio al Tribunale di Pistoia per nuovo esame. Rigetto nel resto.
Cass. pen. n. 4175/1996
In tema di associazioni sovversive, l’ordine democratico cui la norma incriminatrice (art. 270 c.p.) fa riferimento è esclusivamente quello dello Stato italiano.
Cass. pen. n. 2796/1991
Per la configurabilità del reato di associazione sovversiva, necessita che più persone concorrano a formare una struttura organizzata che realizzi una entità formalmente distinta dai singoli partecipanti e che sia in concreto idonea a perseguire uno specifico programma di azioni violente, non necessariamente terroristiche, al fine di sovvertire l’ordinamento costituzionale. È richiesto, quindi, il solo vincolo associativo riferito ad un programma indefinito di reati avente come scopo quello di sovvertimento e non si esige né un numero determinato di adepti, né la consistenza di mezzi idonei alla realizzazione dei fini, né un concreto pericolo per lo Stato, essendo tale pericolo presunto dalla legge in via assoluta proprio per il fatto stesso della costituzione, anche se l’organizzazione può essere rudimentale. (In applicazione di tale principio è stata annullata la sentenza del giudice di merito che aveva fondato il giudizio di colpevolezza degli imputati per il reato di associazione sovversiva esclusivamente sulla base di una sentenza che aveva affermato la responsabilità dei componenti di Avanguardia Nazionale per ricostituzione del partito fascista).
Cass. pen. n. 3138/1990
Il reato associativo è ben distinto da quello specifico commesso in attuazione del programma delinquenziale indeterminato e generico che forma l’oggetto del sodalizio criminale ed il riferimento del reato specifico all’associazione delinquenziale della quale l’imputato sia indiziato di far parte, pur con ruolo dirigenziale, non implica per ciò stesso l’attribuzione alla sua responsabilità del reato specifico, qualora non sussistano prove di tale sua responsabilità, diverse da quella di appartenenza all’associazione (fattispecie in tema di associazione sovversiva).
Cass. pen. n. 1088/1989
I delitti previsti dagli artt. 270 e 270 bis c.p., non concretano né un elemento costitutivo né una circostanza aggravante della banda armata, con la quale, invece, sussiste un legame di fine a mezzo e non di specie a genere. Ne consegue che, qualora anche il reato – fine venga realizzato, si ha concorso formale, essendo inapplicabili sia la disposizione sul reato complesso, sia il principio di specialità.
Cass. pen. n. 8518/1988
Per la compressione del diritto di manifestazione del pensiero e della critica non può genericamente essere invocata la tutela di un interesse di rilievo costituzionale, quale l’obbligo della fedeltà alle leggi che tutelano la disciplina militare, ma è necessario che la condotta vietata presenti anche un contenuto immediatamente offensivo per il bene tutelato. (Alla luce di questo principio la corte ha annullato senza rinvio perché il fatto non sussiste la sentenza di merito di condanna per il reato di istigazione dei militari a disertare poiché tale invito era condizionato ad una evenienza ipotetica e, quindi, non attuale).
Cass. pen. n. 11382/1987
Nei reati associativi la figura dell’organizzazione si identifica in colui che, anche in fasi successive alla formazione dell’associazione, svolge attività essenziali per assicurarne l’efficienza. Il partecipe invece non ha un ruolo qualificato da funzioni essenziali per il sodalizio, connotato da autonomia decisionale. La sua prestazione è di regola non essenziale, fungibile ma è sempre prestata all’associazione con continuità e consapevolezza. Rientra di regola tra i partecipi quello che all’interno dell’associazione viene definito «irregolare» o «contatto», salvo che non si tratti di «contatto» puramente ideologico, privo di vincoli con l’associazione, che fornisca prestazioni esclusivamente al singolo e non all’associazione.
Cass. pen. n. 8952/1987
Le ipotesi delittuose di cui all’art. 270 c.p., per quanto create in un momento storico diverso dall’attuale al fine di tutelare lo stato autoritario nei suoi rapporti con le associazioni politiche e non politiche preesistenti alla sua nascita, si inseriscono, per la forza espansiva contenuta nella norma, nel tessuto democratico e pluralistico del nuovo assetto costituzionale.
Originally posted 2020-01-15 18:04:30.