VIOLENZA SESSUALE dell’attenuante di minore gravità

VIOLENZA SESSUALE dell’attenuante di minore gravità

“ai fini della concedibilità dell’attenuante di minore gravità, assumono rilievo una serie di indici, segnatamente riconducibili, attesa la “ratio” della previsione normativa, al grado di coartazione esercitato sulla vittima, alle condizioni fisiche e mentali di quest’ultima, alle caratteristiche psicologiche, valutate in relazione all’età, all’entità della compressione della libertà sessuale e al danno arrecato alla vittima anche in termini psichici”.

Se non fosse così, prosegue la Suprema Corte, si riprodurrebbe la “vecchia distinzione, ripudiata dall’attuale disciplina, tra “violenza carnale” e “atti di libidine” che lo stesso legislatore ha ritenuto di non focalizzare preferendo attestarsi sulla clausola di “casi di minore gravita”.

La circostanza attenuante “si deve considerare applicabile le volte nelle quali, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive e alle circostanze dell’azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale della vittima sia stata compressa in modo non grave”.

Questo vale anche in un caso come quello in questione, nel quale la Corte di appello di Venezia aveva fatto riferimento, per negare l’attenuante, “ai plurimi rapporti sessuali completi ottenuti con la violenza e senza il minimo rispetto della dignità e libertà di determinazione della donna”.

REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampa

Secondo la Cassazione è necessaria “una disamina complessiva, con riferimento alla valutazione delle ripercussioni delle condotte, anche sul piano psichico, sulla persona della vittima”, perché i giudici non possono fare come i magistrati della Corte di Appello di Venezia che si sono “limitati” a “descrivere il fatto contestato, necessariamente comprensivo, per stessa definizione normativa, di violenza senza prendere in considerazione gli effetti”.

Secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, in tema di reati sessuali, non assumono alcun rilievo scriminante, né valgono ad escludere il dolo del reato, eventuali giustificazioni fondate sulla circostanza che l’agente, per la cultura mutuata dal proprio paese d’origine, sia portatore di una diversa concezione della relazione coniugale e dell’approccio al rapporto sessuale, in quanto la difesa delle proprie tradizioni deve considerarsi recessiva rispetto alla tutela di beni giuridici che costituiscono espressione di un diritto fondamentale dell’individuo ai sensi dell’art. 2 Cost. (Cass. pen., Sez. III, n. 7590/2019) ed attesa anche l’esigenza di valorizzare – in linea con l’art. 3 Cost. – la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l’instaurazione di una società civile multietnica (Cass. pen., Sez. III, n. 8986/2019).

È stato affermato che lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la famiglia e di violenza sessuale non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell’esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell’ordinamento italiano, in cui l’agente ha scelto di vivere, attesa l’esigenza di valorizzare – in linea con l’art. 3 Cost. – la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l’instaurazione di una società civile multietnica (Cass. pen., Sez. III, n. 14960/2015).

Un indirizzo più aperto, invece, sostiene che, ai fini della valutazione della sussistenza della consapevolezza dell’illiceità penale della condotta, può essere presa in considerazione la categoria dei reati “culturalmente orientati” o “culturalmente motivati”, purché all’esito di un rigoroso bilanciamento tra il diritto involabile del soggetto agente a non ripudiare le proprie tradizioni culturali, religiose e sociali e i valori offesi o posti in pericolo dal suo comportamento (Cass. pen., Sez. IV, n. 29613/2018 in una fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza di assoluzione dell’imputato che praticava atti nei conforti del figlio come palpeggiamenti nelle parti intime e rapporti orali, sostenendo e provando con un documento che, nella località di origine, sita nell’interno dell’Albania, rappresentassero un auspicio di prosperità e di continuità della generazione. Nella motivazione di questa sentenza la Corte ha precisato che, per compiere il bilanciamento giudizio indicato, è utile accertare la matrice religiosa o giuridica della regola culturale in adesione alla quale è stato commesso il fatto, il suo effettivo carattere vincolante nella comunità di origine dell’imputato ed il grado d’inserimento dell’immigrato nella cultura e nel tessuto sociale del Paese d’arrivo).

PRINCIPI DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

ai fini della concedibilità dell’attenuante di minore gravità, assumono rilievo una serie di indici, segnatamente riconducibili, attesa la ratio della previsione normativa, al grado di coartazione esercitato sulla vittima, alle condizioni, fisiche e mentali, di quest’ultima, alle caratteristiche psicologiche, valutate in relazione all’età, all’entità della compressione della libertà sessuale ed al danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (cfr., tra le altre, Sez.3, n. 45604 del 13/11/2007, Mannina, Rv. 238282; Sez.3, n. 5646 del 24/03/2000, Improta, Rv. 216569).

simmetricamente la presenza dello stesso rapporto completo non può, per ciò solo, escludere che l’attenuante sia concedibile, dovendo effettuarsi una valutazione del fatto nella sua complessità.:

La “tipologia” dell’atto posto in essere, lungi dall’essere di per sé elemento dirimente ai fini della scelta in un senso o nell’altro, va valutata come uno solo degli elementi indicativi dei parametri sopra elencati. In altri termini, dunque, così come l’assenza un rapporto sessuale “completo” non può, per ciò solo, consentire di ritenere sussistente l’attenuante (Sez. 3, n. 10085 del 05/02/2009, R., Rv. 243123; Sez.3, n. 14230 del 15/02/2008, P.M. in proc. L, Rv. 239964), simmetricamente la presenza dello stesso rapporto completo non può, per ciò solo, escludere che l’attenuante sia concedibile, dovendo effettuarsi una valutazione del fatto nella sua complessità. E del resto, ove così non fosse, si verrebbe a porre, nell’esegesi della norma, un limite, tra l’altro riproduttivo della vecchia distinzione, ripudiata dalla nuova disciplina, tra “violenza carnale” e “atti di libidine”, che lo stesso legislatore ha ritenuto di non focalizzare preferendo attestarsi sulla generale clausola di “casi di minore gravità”. Di qui, l’ulteriore affermazione di questa Corte secondo cui, sia pure con riferimento all’omologa ipotesi attenuata di cui all’art. 609 quater, comma 4, c.p., la circostanza deve considerarsi applicabile in tutte quelle fattispecie in cui – avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell’azione – sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima sia stata compressa in maniera non grave (Sez. 4, n. 18662 del 12/04/2013, A., Rv. 255930).

Il dolo del delitto di violenza sessuale è generico (Cass. pen., Sez. III, n. 28815/2008) e consiste nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della vittima non consenziente, mentre è irrilevante l’eventuale fine ulteriore (di concupiscenza, ludico o d’umiliazione) che ha spinto l’agente a commettere il reato (Cass. pen., Sez. III, n. 42118/2019; Cass. pen., Sez. III, n. 20754/2013). Non è necessario, dunque, che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente, essendo sufficiente che questi, indipendentemente dallo scopo perseguito, sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere volontariamente, ed in particolare del suo carattere invasivo o lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente (Cass. pen., Sez. III, n. 9399/2021; Cass. pen., Sez. III, n. 10923/2019). Ad esempio, la circostanza che l’imputato non fosse mosso da un desiderio sessuale, ma abbia agito per scherzo è stata ritenuta espressione solo del movente dall’azione, che, come detto, non incide sulla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie in esame (Cass. pen., Sez. III, n. 13278/2021).

Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, più in particolare, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico (Cass. pen., Sez. III, n. 49597/2016, S., Rv. 268186). Infatti, è stato correttamente precisato in proposito che non è ravvisabile alcun indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato, un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso all’intromissione di soggetti terzi all’interno della sua sfera di intimità sessuale. Al contrario, si deve piuttosto ritenere che tale dissenso sia da presumersi, laddove non sussistano indici chiari ed univoci volti a dimostrare l’esistenza di un consenso, sia pur tacito ma in ogni caso inequivoco (Cass. pen., Sez. III, n. 42118/2019; Cass. pen., Sez. III, n. 49597/2016). È ben possibile, per esempio, che, nello svolgimento della patologia delle relazioni sentimentali tra uomo e donna, si verifichi la sussistenza di rapporti sessuali consensuali alternati a rapporti sessuali imposti e non può certo presumersi il consenso anche in riferimento ai rapporti sessuali imposti (Cass. pen, Sez. III, n. 37916/2012).

La mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie. L’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (Cass. pen., Sez. III, n. 2400/2017, dep. 2018). L’errore sulla necessità del consenso del paziente prima del compimento da parte del medico di atti incidenti sulla sua sfera di libertà sessuale, quindi, esclude la colpevolezza solo in caso di ignoranza inevitabile. Si tratta di un errore su legge penale, a norma dell’art. 5 c.p., che non esclude il dolo ed esclude la colpevolezza solo in caso di ignoranza inevitabile.

Il dubbio sul consenso, perciò, non esclude la configurabilità del reato (Cass. pen., Sez. III, n. 52835/2018). È configurabile il dolo eventuale anche nel caso di omesso impedimento dell’evento a condizione che l’accettazione del rischio da parte del garante concerna specificamente proprio l’evento tipico, ossia la costrizione o induzione a compiere o subire un atto sessuale, che con l’azione si sarebbe potuto evitare (Cass. pen., Sez. IV, n. 36399/2013).

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Originally posted 2018-02-09 10:42:35.