ART 570 BIS CP NON VERSA ASSEGNO AI FIGLI PER LUDOPATIA TRIBUNALE FERRARA
Il vizio del gioco e l’abuso di alcool lo avevano indotto a commettere i crimini per cui ora è detenuto (rapine); aveva iniziato da poco un percorso al Ser.T e chiesto il trasferimento alla casa di reclusione di Castelfranco Emilia, dove riusciva a lavorare, sperando così di cominciare a contribuire ai suoi obblighi.
L’ipotesi di reato prevista dall’art. 570 c.p., comma 1, così come quella prevista dal comma 2 della medesima disposizione, presuppongono entrambe la minore età del figlio non inabile al lavoro e vengono meno con l’acquisizione della capacità di agire da parte del minore conseguente al raggiungimento della maggiore età (Sez. 6, n. 34080 del 13/6/2013, M., Rv. 257416).
Conseguentemente, la violazione degli obblighi di assistenza economica nei confronti dei figli maggiorenni non autosufficienti, ove non inabili al lavoro, non solo non è punita a norma dell’art. 570 c.p., comma 1, che ha riguardo solo ai figli minori, atteso il riferimento agli obblighi inerenti la potestà genitoriale (ora sostituito dal riferimento alla “responsabilità genitoriale” di cui all’art. 316 c.c. per effetto della modifica introdotta dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), ma è perseguibile soltanto ove ricorra la diversa ipotesi di reato previsto dall’art. 570-bis c.p..
A seguito del raggiungimento della maggiore età del figlio beneficiario dell’assegno di mantenimento, il permanente inadempimento da parte del genitore obbligato al versamento integra il reato di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies, richiamato dall’art. 3, L. 8 febbraio 2006, n. 54 (ora trasfuso nell’art. 570-bis c.p.) e non invece quello dell’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, (Sez. 6, n. 38611 del 12/4/2018, M., Rv. 274102).
Nel caso di specie, l’imputato è stato condannato per il reato previsto dall’art. 570 c.p., comma 1 e comma 2, n. 2 per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla propria moglie ed ai figli F.S. e A., con decorrenza del reato dalla data del 23 luglio 2015, quando i predetti figli erano già maggiorenni, e quindi legittimati in via esclusiva a sporgere querela, anche ove ritenuti inabili al lavoro.
E’ incontestato, infatti, che la querela è stata sporta dalla madre quando i figli erano già divenuti maggiorenni, e quindi in difetto del potere di rappresentanza spettante al genitore ex art. 120 c.p., comma 3, ai fini dell’esercizio del diritto di querela.
Va ricordato che la condotta di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in danno di più soggetti conviventi nello stesso nucleo familiare non configura un unico reato, bensì una pluralità di reati in concorso formale o, ricorrendone i presupposti, in continuazione tra loro (Sez. U, n. 8413 del 20/12/2007, Cassa, Rv. 238468).
Pertanto, la disposizione di cui all’art. 122 c.p. – per la quale il reato commesso in danno di più persone è punibile anche se la querela è proposta da una soltanto di esse – non è applicabile al caso di specie, trattandosi di più reati, in concorso formale, commessi in danno di diverse persone offese.
Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità che nell’ipotesi in cui una sola azione comporti più lesioni della stessa disposizione penale, ledendo distinti soggetti, poichè tale situazione integra un concorso formale di reati in danno di più persone, in cui la “reductio ad unum” è preordinata solo ad un più benevolo regime sanzionatorio che non incide sulla autonomia dei singoli reati, in tal caso, la procedibilità di ciascun reato è condizionata alla querela della rispettiva persona offesa (Sez. 5, n. 44392 del 11/06/2015, D., Rv. 266402).
Pertanto, avendo la Corte di appello disatteso tale principio di diritto sull’assunto dell’effetto estensivo della querela sporta da una soltanto delle persone offese del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente ai reati in danno dei figli per mancanza di querela.
Dall’accoglimento del predetto motivo consegue l’assorbimento di tutti gli altri motivi con i quali sono state dedotte le questioni concernenti l’assenza di un provvedimento giudiziale di attribuzione di un assegno di mantenimento riferibile ad i figli, l’insussistenza dello stato di bisogno e dell’inabilità al lavoro dei figli, residuando solo la condanna per il reato commesso in danno della moglie, P.S..
Si deve, peraltro, rilevare, con riguardo alla dedotta indeterminatezza dell’imputazione, che una volta instaurato il giudizio abbreviato incondizionato, senza che vi sia stata alcuna modificazione dell’accusa da parte del pubblico ministero e senza che il giudice abbia rilevato vizi nella formulazione dell’imputazione, non è consentito all’imputato eccepire in sede di discussione la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione (Sez.6, n. 23771 del 20/02/2009, Bilardi, Rv. 245252).
Quanto all’elemento soggettivo, ai fini della configurabilità del reato in esame, è sufficiente che il soggetto attivo abbia avuto la coscienza e volontà di sottrarsi senza giusta causa all’obbligo impostogli, nella consapevolezza del bisogno in cui versavano i familiari a cui era tenuto a versare l’assegno. Detta consapevolezza è emersa pienamente nel corso dell’esame dell’imputato.
Nel caso in esame, il totale inadempimento all’obbligo di contribuire al mantenimento della famiglia dal 2018 in poi – in assenza di alcuna valida giustificazione – è sintomatico del dolo.
Le circostanze rappresentate dall’imputato non sono, pertanto, tali da escludere l’elemento soggettivo del reato, né configurano una condizione di diminuita capacità di intendere e volere al momento del fatto, come meramente allegato dalla difesa.
Infatti, pur potendo darsi per provato che M. giocasse d’azzardo sulla base del suo esame e della testimonianza assunta, in assenza di documentazione o accertamenti medici risalenti all’epoca dei fatti, non è possibile ora – nemmeno con l’ausilio di una perizia medico legale – accertare uno stato di affievolita capacità di intendere e volere conseguente alla asserita ludopatia.
A tale scopo non si è ritenuta decisiva l’assunzione delle testimonianze della sorella e del fratello dell’imputato, indicati dalla sua difesa a prova contraria e non su circostanze specifiche, trattandosi di congiunti dell’imputato, che nulla di rilevante avrebbero potuto aggiungere rispetto al quadro probatorio granitico quanto all’integrazione del reato contestato, né in ordine al gioco d’azzardo rispetto alla testimonianza del L..
La deriva criminale del M. nel 2018, a causa della commissione di gravi reati offensivi del patrimonio per cui è tuttora ristretto in via definitiva, non è stata ricondotta dall’autorità giudiziaria procedente in alcun modo a patologie scemanti la sua capacità di intendere e volere in quel periodo, concomitante ai fatti per cui si procede.
Dopo il contributo del maggio 2018 l’imputato non versava più alcunchè, avendo già da febbraio 2018 adempiuto all’obbligo solo parzialmente, così gravando il mantenimento dei figli minori esclusivamente sulla madre, la quale lavorava come operaia part time presso un’azienda di ristorazione, percependo Euro 750,00 al mese oltre agli assegni familiari e ad un assegno di invalidità in favore del figlio M., ipovedente. La L. aveva dovuto ricorrere ad un finanziamento di Euro 10.000 per far fronte all’affitto.
Nel 2018 M. aveva lavorato come operaio presso un’azienda di O.E.; in quell’epoca, secondo la teste, aveva disponibilità economiche superiori alle sue, considerato il regime di vita che faceva (abiti costosi, ristoranti); poi a gennaio 2019 era stato ristretto in carcere e l’unica somma ricevuta dalla L. erano stati 100,00 Euro in occasione del compleanno di un figlio nel 2020.
L’imputato, in sede di esame, ha ammesso di non avere adempiuto ai suoi obblighi di padre, così come rappresentato dalla ex compagna.
Ha sostenuto di spendere tutto lo stipendio che percepiva, Euro 2.600,00 al mese, nel gioco d’azzardo; era riuscito a versare il contributo fino ad inizio 2018, poi non era stato più in grado, perché si giocava tutto il denaro di cui aveva la disponibilità; aveva chiesto anche un finanziamento di Euro 30.000 alla madre per ripianare i debiti di gioco.
Non avendo denaro, né un luogo dove ospitarli (dormiva dalla madre, che non voleva i bambini o sul camion) spesso non faceva visita ai figli, né li teneva nei giorni consentiti dal provvedimento del Tribunale.
Il vizio del gioco e l’abuso di alcool lo avevano indotto a commettere i crimini per cui ora è detenuto (rapine); aveva iniziato da poco un percorso al Ser.T e chiesto il trasferimento alla casa di reclusione di Castelfranco Emilia, dove riusciva a lavorare, sperando così di cominciare a contribuire ai suoi obblighi.
L.G., teste indotto dalla difesa, ha riferito di avere frequentato M.L. nel 2018 presso un bar di Cento, ove entrambi giocavano alle slot machine.
Alla luce delle risultanze probatorie orali e documentali appare integrata la penale responsabilità dell’imputato per il reato a lui contestato.
La deposizione della persona offesa, pienamente attendibile, è stata confermata dallo stesso imputato, che, oltre a riconoscere le circostanze relative all’omesso adempimento, ha dichiarato che L.E. è sempre stata una brava madre, attenta ai bisogni dei figli, cui dal 2018 ha provveduto in forma esclusiva.
D’altro canto M., fino a gennaio 2019, aveva un lavoro da cui ricavava un reddito non certo esiguo che, anziché destinare ai figli, quantomeno nella minima parte stabilita dal Tribunale, sperperava nel gioco d’azzardo.
Può, quindi, ritenersi integrato il reato contestato.
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Tribunale Ferrara, Sent., 21/06/2021
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Sentenza
IntestazioneSvolgimento del processoMotivi della decisioneP.Q.M.Conclusione
ASSISTENZA FAMILIARE (VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI)
Intestazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI FERRARA
Il Tribunale di Ferrara, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Silvia Marini, alla pubblica udienza del 21 aprile 2021 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
M.L., nato ad A. il (…) – attualmente detenuto p. a. c. c/o la Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia
-detenuto p. a. c. presente-
IMPUTATO
Per il delitto di cui all’art. 570 bis c.p. perché, ometteva di versare il contributo, inerente le spese del mantenimento dei figli minori, come stabilito dal Tribunale di Ferrara con D.P. R.G. 1542/15 del 17 maggio 2016 a favore dell’ex coniuge, L.E. consistente nella somma di Eurouro 2.400,00 relativa ai mesi di febbraio, marzo, giugno luglio, agosto, settembre 2018.
Con l’aggravante della recidiva reiterata.
In Cento (FE) dal 05.04.2018 ad oggi
Con l’intervento del Pubblico Ministero: dott. Renzo Simionati V.P.O.
Del difensore di fiducia: Avv. Denise Mondin del Foro di Ferrara
Del difensore della parte civile costituita E.L.: Avv. Giulio Cristofori del Foro di Bologna
Svolgimento del processo
A seguito di decreto di citazione a giudizio del 4 marzo 2020 si procedeva nei confronti dell’imputato, detenuto per altra causa, che aveva ricevuto di persona l’atto introduttivo del giudizio, per il reato di cui all’art. 570 bis c.p., enunciato in rubrica.
L’udienza del 9 giugno 2020 era differita d’ufficio causa l’emergenza epidemiologica con conseguente sospensione del termine di prescrizione ex art. 83 D.L. n. 18 del 1920, conv. in L. n. 27 del 2020. All’udienza del 10 novembre 2020, presente l’imputato con il difensore di fiducia, costituitasi parte civile L.E., venivano ammesse le prove.
Il 21 aprile 2021, in esito ad istruttoria, le parti concludevano come da verbale ed il Giudice pronunciava sentenza.
Motivi della decisione
All’esito dell’istruttoria dibattimentale deve affermarsi la penale responsabilità dell’imputato per il reato ascrittogli.
La teste L.E., ex moglie dell’imputato, confermava le circostanze rassegnate nella querela presentata il 19-9-2018: durante la convivenza con M.L., protrattasi dal 2000 al 2010, nascevano M. nel 2004 e Alessio nel 2008; cessato il rapporto, con provvedimento del Tribunale di Ferrara del 17-5-2016 che recepiva gli accordi delle parti, i figli erano affidati in forma condivisa ai genitori con collocamento prevalente presso la madre e veniva disposto a carico del padre il versamento della somma di Euro 200,00 mensili per ciascun figlio, oltre al 50% delle spese straordinarie. Era stato, inoltre, previsto che nei mesi di dicembre di ogni anno M. versasse una quota aggiuntiva di Euro 400,00.
Dopo il contributo del maggio 2018 l’imputato non versava più alcunchè, avendo già da febbraio 2018 adempiuto all’obbligo solo parzialmente, così gravando il mantenimento dei figli minori esclusivamente sulla madre, la quale lavorava come operaia part time presso un’azienda di ristorazione, percependo Euro 750,00 al mese oltre agli assegni familiari e ad un assegno di invalidità in favore del figlio M., ipovedente. La L. aveva dovuto ricorrere ad un finanziamento di Euro 10.000 per far fronte all’affitto.
Nel 2018 M. aveva lavorato come operaio presso un’azienda di O.E.; in quell’epoca, secondo la teste, aveva disponibilità economiche superiori alle sue, considerato il regime di vita che faceva (abiti costosi, ristoranti); poi a gennaio 2019 era stato ristretto in carcere e l’unica somma ricevuta dalla L. erano stati 100,00 Euro in occasione del compleanno di un figlio nel 2020.
L’imputato, in sede di esame, ha ammesso di non avere adempiuto ai suoi obblighi di padre, così come rappresentato dalla ex compagna.
Ha sostenuto di spendere tutto lo stipendio che percepiva, Euro 2.600,00 al mese, nel gioco d’azzardo; era riuscito a versare il contributo fino ad inizio 2018, poi non era stato più in grado, perché si giocava tutto il denaro di cui aveva la disponibilità; aveva chiesto anche un finanziamento di Euro 30.000 alla madre per ripianare i debiti di gioco.
Non avendo denaro, né un luogo dove ospitarli (dormiva dalla madre, che non voleva i bambini o sul camion) spesso non faceva visita ai figli, né li teneva nei giorni consentiti dal provvedimento del Tribunale.
Il vizio del gioco e l’abuso di alcool lo avevano indotto a commettere i crimini per cui ora è detenuto (rapine); aveva iniziato da poco un percorso al Ser.T e chiesto il trasferimento alla casa di reclusione di Castelfranco Emilia, dove riusciva a lavorare, sperando così di cominciare a contribuire ai suoi obblighi.
L.G., teste indotto dalla difesa, ha riferito di avere frequentato M.L. nel 2018 presso un bar di Cento, ove entrambi giocavano alle slot machine.
Alla luce delle risultanze probatorie orali e documentali appare integrata la penale responsabilità dell’imputato per il reato a lui contestato.
La deposizione della persona offesa, pienamente attendibile, è stata confermata dallo stesso imputato, che, oltre a riconoscere le circostanze relative all’omesso adempimento, ha dichiarato che L.E. è sempre stata una brava madre, attenta ai bisogni dei figli, cui dal 2018 ha provveduto in forma esclusiva.
D’altro canto M., fino a gennaio 2019, aveva un lavoro da cui ricavava un reddito non certo esiguo che, anziché destinare ai figli, quantomeno nella minima parte stabilita dal Tribunale, sperperava nel gioco d’azzardo.
Può, quindi, ritenersi integrato il reato contestato.
In ordine all’elemento oggettivo la norma prevede quale condotta sanzionabile il mero inadempimento dell’obbligo di pagare l’assegno di mantenimento stabilito in sede civile.
Quanto all’elemento soggettivo, ai fini della configurabilità del reato in esame, è sufficiente che il soggetto attivo abbia avuto la coscienza e volontà di sottrarsi senza giusta causa all’obbligo impostogli, nella consapevolezza del bisogno in cui versavano i familiari a cui era tenuto a versare l’assegno. Detta consapevolezza è emersa pienamente nel corso dell’esame dell’imputato.
Nel caso in esame, il totale inadempimento all’obbligo di contribuire al mantenimento della famiglia dal 2018 in poi – in assenza di alcuna valida giustificazione – è sintomatico del dolo.
Le circostanze rappresentate dall’imputato non sono, pertanto, tali da escludere l’elemento soggettivo del reato, né configurano una condizione di diminuita capacità di intendere e volere al momento del fatto, come meramente allegato dalla difesa.
Infatti, pur potendo darsi per provato che M. giocasse d’azzardo sulla base del suo esame e della testimonianza assunta, in assenza di documentazione o accertamenti medici risalenti all’epoca dei fatti, non è possibile ora – nemmeno con l’ausilio di una perizia medico legale – accertare uno stato di affievolita capacità di intendere e volere conseguente alla asserita ludopatia.
A tale scopo non si è ritenuta decisiva l’assunzione delle testimonianze della sorella e del fratello dell’imputato, indicati dalla sua difesa a prova contraria e non su circostanze specifiche, trattandosi di congiunti dell’imputato, che nulla di rilevante avrebbero potuto aggiungere rispetto al quadro probatorio granitico quanto all’integrazione del reato contestato, né in ordine al gioco d’azzardo rispetto alla testimonianza del L..
La deriva criminale del M. nel 2018, a causa della commissione di gravi reati offensivi del patrimonio per cui è tuttora ristretto in via definitiva, non è stata ricondotta dall’autorità giudiziaria procedente in alcun modo a patologie scemanti la sua capacità di intendere e volere in quel periodo, concomitante ai fatti per cui si procede.
Ai fini dell’accertamento di una patologia da dipendenza cronica dal gioco è necessaria una valutazione diagnostica da parte di uno specialista, a mezzo della quale si dimostri che tale patologia influenzi il comportamento di chi commette il reato e sia tale da renderlo incapace di intendere e di volere al momento in cui lo commette.
Deve, perciò, trattarsi di un disturbo idoneo a determinare e che abbia in effetti determinato una situazione di assetto psichico incontrollabile, totalmente o in grave misura che, incolpevolmente, rende l’agente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, e conseguentemente indirizzarli, di percepire il disvalore sociale del fatto, di autonomamente e liberamente, autodeterminarsi.
Pertanto, il reato dovrà essere compiuto durante l’estrinsecarsi della patologia inabilitante, nonché essere legato da un rapporto di derivazione diretta con la patologia in questione.
Quanto alla ludopatia sono stati considerati reati causalmente connessi a tale disturbo i delitti contro il patrimonio, in quanto satisfattivi per le esigenze del soggetto ludopatico.
In relazione al reato per cui si procede il vizio del gioco costituiva presumibilmente solo la causa della mancata disponibilità economica necessaria per il versamento dei contributi, ma gli omessi versamenti, peraltro reiterati mensilmente, non erano condotte commesse in vista di un’immediata occasione di gioco rispetto alla quale fosse urgente il necessario approvvigionamento finanziario.
Ad avviso del decidente, in considerazione della tipologia di reato per cui si procede le azioni delittuose poste in essere sono state realizzate mediante condotte caratterizzate da connotati incompatibili con la spiegazione patologica del movente, non costituendo il vizio del gioco la pulsione della condotta delittuosa, né derivando dalle stesse un guadagno impiegabile per giocare d’azzardo.
Manca, quindi, la correlazione causale delle stesse con un eventuale – in quanto non accertato e difficilmente accertabile in questa sede – disturbo ludopatico.
Venendo ad esaminare il trattamento sanzionatorio, può escludersi la contestata recidiva in quanto le condanne divenute irrevocabili prima del reato per cui si procede riguardano fatti offensivi di beni diversi dal reato per cui si procede; possono riconoscersi le circostanze attenuante generiche, in considerazione del comportamento processuale dell’imputato, che ha ammesso i fatti ed ha mostrato di avere ora compreso l’illiceità delle sue condotte; ha, inoltre, intrapreso all’interno del carcere un percorso rieducativo. Visti i criteri di cui all’art. 133 c.p., si stima equa la condanna nella misura di mesi tre di reclusione, ritenendosi la pena detentiva nella misura comminata adeguata alla personalità dell’imputato ed all’entità degli omessi versamenti.
Segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
I precedenti sono ostativi alla concessione della sospensione condizionale della pena.
L’imputato va condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, avente diritto in quanto affidatari dei figli minori al versamento del contributo mensile, che si liquidano fin da ora in Euro 4.000,00, di cui Euro 2.400 per danno patrimoniale derivante dagli omessi versamenti e Euro 1.600,00 per le spese indirette sostenute dalla parte civile a causa del mancato versamento e per danno morale conseguente alla precarietà delle condizioni in cui il nucleo familiare è stato ed è tuttora costretto a vivere, potendo fare affidamento sulle sole entrate derivanti dal lavoro a tempo parziale della L., non sufficiente per far fronte a tutte le esigenze di due figli minori, uno dei quali ipovedente.
Da ciò consegue che la condanna al risarcimento del danno deve essere dichiarata provvisoriamente esecutiva.
Infine M.L. deve essere condannato a rifondere le spese processuali sostenute dalla parte civile, che si liquidano – tenuto conto dell’impegno profuso e del risultato raggiunto in una causa non particolarmente complessa – in Euro 1.900,00 per onorari (Euro 400,00 per esame e studio, Euro 200,00 per la fase introduttiva, Euro 400,00 per la fase istruttoria e Euro 900,00 per la fase decisionale), oltre spese generali e oneri di legge, da versarsi in favore dello Stato ai sensi dell’art. 110 D.P.R. n. 115 del 2002, in quanto la parte civile è ammessa al gratuito patrocinio.
P.Q.M.
Visti gli artt.533 e 535 c.p.p., dichiara M.L. responsabile del reato ascrittogli e, esclusa la contestata recidiva e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi tre di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali.
Visto l’art. 538 c.p.p., condanna l’imputato al risarcimento del danno patito dalla parte civile, che liquida in Euro 4.000, oltre interessi dalla data della decisione al saldo.
Visto l’art. 540 c.p.p. dichiara la condanna al risarcimento del danno provvisoriamente esecutiva.
Visto l’art. 110 D.P.R. n. 115 del 2002, condanna l’imputato al pagamento in favore dello Stato delle spese processuali sostenute dalla parte civile, che liquida in Euro 1.900 per onorari, oltre spese generali nella misura del 15% e oneri di legge.
Motivazione in giorni novanta.
Conclusione
Così deciso in Ferrara, il 21 aprile 2021.
Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2021.
Originally posted 2021-08-20 16:34:52.